La lettera parte tutti gli anni, da una quindicina d’anni: «Al Presidente della Repubblica - Palazzo del Quirinale - 00186 Roma. Io sottoscritto Andrea Mazzi, nato a Modena il 28 agosto 1966 e ivi residente, premesso che credo fermamente nella dignità inviolabile della persona umana in cui è riflesso il mistero di Dio; che conseguentemente sono contrario alla violenza contro la vita umana che viene perpetrata nell’uccisione dei feti e degli embrioni; che la coscienza dell’uomo è superiore a qualsiasi legge ed ordinamento umano; che quindi, per coerenza, non posso dare a chicchessia soldi che andranno per la soppressione della vita nascente; dichiaro come atto di disobbedienza civile di portare la cifra in detrazione dalla dichiarazione dei redditi Irpef, per evitare che con le mie tasse sia finanziata l’uccisione della vita nascente».
L’ha spedita a Oscar Luigi Scalfaro. L’ha spedita a Carlo Azeglio Ciampi. L’ha spedita a Giorgio Napolitano. «Mai avuto risposta. Capisco gli ultimi due... Ma il primo si dichiara fervente cattolico e devoto della Madonna». L’unica risposta che lo Stato ha saputo dare al cittadino Andrea Mazzi, ingegnere idraulico, responsabile delle reti acqua e gas del Comune di Sassuolo, padre di Susanna, 12 anni, e Samuele, 8, è arrivata dall’Agenzia delle entrate con raccomandata: «Vogliono pignorarmi la Fiat Multipla che mi serve tutti i giorni per portare i figli a scuola e per recarmi al lavoro. Facciano pure. Io non mollo». La moglie Paola, maestra d’infanzia, è schierata con lui. «Però, assai pratica come tutte le donne, mi dice: “L’importante è che la mattina si riesca ancora a portare i nostri bambini a scuola...”». Difficile darle torto: una seconda auto in famiglia non c’è. «Né potremmo comprarcela. Ma poi, a che servirebbe? Mi porterebbero via anche quella». Perché una cosa è certa: a cambiare idea dovrà essere lo Stato, non lui.
Ha cominciato nel 1986 - era presidente Francesco Cossiga - con l’obiezione alle spese militari: «Mi trattenevo il 5,5% delle imposte e lo versavo al Fondo per la pace. Estendere subito l’obiezione alle spese abortive m’è sembrato semplice coerenza. Le Ivg, interruzioni volontarie di gravidanza, comportano ogni anno un’uscita di oltre 200 miliardi di vecchie lire solo per interventi e degenze, esclusi i servizi di consultorio. In Emilia Romagna per ogni aborto la Regione versa al Policlinico 948 euro. Omicidi commessi con i soldi dei contribuenti, l’aliquota Irpef, l’Irap, l’Iva, il bollo auto».
Per l’autoriduzione come fa?
«Compilo il modello Unico. Al momento di pagare in banca, detraggo 25 euro dal modello F24. Siccome guadagno 40.000 euro lordi, l’aliquota sarebbe inferiore. Ma sotto i 17 euro lo Stato non si muove. E siccome io voglio che si muova, ho sempre trattenuto qualcosina di più, 50.000 lire, e spedito la fotocopia dell’F24 al capo dello Stato, all’Agenzia delle entrate e al presidente della Regione».
Vasco Errani almeno le avrà risposto.
«Mai».
Lo Stato invece s’è mosso.
«Mi sono arrivate cinque cartelle esattoriali, con sanzioni e interessi di mora. Nel 2004 ho presentato ricorso alla Commissione tributaria: respinto. L’avvocato mi ha sconsigliato di riprovarci: ho già buttato via 700 euro e c’è il rischio che lo Stato mi accolli anche le sue spese legali per lite temeraria».
Intanto le sequestra l’auto.
«Uniriscossioni mi ha comunicato che avrebbe proceduto al fermo amministrativo della Fiat Multipla se non pagavo per gli anni dal 1994 al 1999. C’è stata una fiaccolata di solidarietà, con la mia auto al seguito. Niente da fare. Ora aspetto che l’Agenzia delle entrate torni alla carica».
Ma i soldi che si trattiene le restano in tasca?
«No, li verso al servizio Maternità difficile della Comunità Papa Giovanni XXIII, che aiuta le donne incinte a non abortire. Lo fondò don Oreste Benzi e io vi aderii subito. “Le cose belle prima si fanno e poi si pensano”, mi diceva. In lui vedevo il Vangelo che camminava, pur con le scarpe grosse. Cominciammo insieme nel 2000 a recitare il rosario davanti al Policlinico di Modena ogni lunedì mattina, dalle 6.45 alle 7.30. Siamo rimasti in una decina a farlo. A volte si ferma qualche medico. Un conducente dell’autobus 7 si univa nell’intervallo fra una corsa e l’altra. Un’infermiera che si prestava alle Ivg salì in reparto e disse alle colleghe: “Andremo tutte all’inferno”. Ora è obiettrice».
Perché alle 6.45?
«Perché a quell’ora le donne entrano per abortire. So di mamme che si sono tenute il bambino perché ci hanno visto a pregare all’ingresso».
Come lo sa?
«Vengono a dircelo. Rosa, 25 anni, al terzo mese, non sposata, lo scorso dicembre doveva sbarazzarsi del bambino, spinta dal suo compagno. Le stiamo cercando un alloggio. “Quando entri lì dentro per abortire, hai le orecchie di marmo”, mi ha detto. Ma un’Ave Maria può dischiuderle. Il 20% delle donne che hanno prenotato un’Ivg cambiano idea dopo una settimana e non si presentano. È stato il professor Annibale Volpe, primario di ginecologia, a confermarcelo».
Si rende conto che l’obiezione fiscale mina le basi dello Stato? Chi usa solo la bici obietterà contro le auto per lo smog, chi è per l’istruzione privata non pagherà le tasse per quella pubblica.
«Io non sono d’accordo su tante cose che lo Stato fa, tipo finanziare la rottamazione delle auto. Eppure non mi sogno di opporre la disobbedienza civile a queste spese. Ma su vita e morte non transigo».
Che cosa pensa della legge 194?
«Va abolita. Per giudicare bene i fatti occorre esaminarli dal punto di vista degli ultimi. In Italia il diritto di nascere viene quotidianamente negato a un numero spaventoso di bambini, 363, un’intera scuola che scompare ogni giorno. La 194 in trent’anni ha prodotto 5 milioni di morti».
Si dice che abbia dimezzato gli aborti.
«È un mantra indimostrato, da far inorridire qualsiasi statistico: sarebbe come paragonare l’inflazione attuale a quella di trent’anni fa, 12,6%, sostenendo che oggi possiamo essere contenti perché è cinque volte più bassa».
Ha testimonianze dirette su come avvengono gli aborti?
«Nel 97% dei casi per aspirazione entro il primo trimestre. Il feto di 12 settimane è un uomo in miniatura lungo 8 centimetri che sente la voce della mamma. Lo riducono in poltiglia. Il rimanente 3% di aborti avviene mediante l’induzione al parto con i farmaci: spesso il bimbo nasce vivo, lo lasciano morire sul tavolo operatorio. Perfino i medici abortisti, quando li interpelli a tu per tu, ammettono: “È un omicidio”. Nel 2005 me lo confessò il professor Giorgio Pardi, direttore della Mangiagalli di Milano, il primo abortificio d’Italia: “Sono stufo di firmare 1.500 certificati di morte l’anno. Ci sono donne che vengono qui ad abortire per un labbro leporino o per un’esadattilia al piede del nascituro, sei dita al posto di cinque, malformazioni correggibili chirurgicamente”».
Dunque perché praticano gli aborti?
«“Siamo esecutori di una legge dello Stato”, ti rispondono. Voglio raccontarle che cos’è accaduto a una bolognese al quarto mese di gravidanza. Fine gennaio 2007. In un ospedale dell’Emilia Romagna l’avevano già sottoposta a cinque tentativi con le pastiglie che provocano l’espulsione del feto, senza esiti. Al quinto tentativo esce in lacrime e incontra don Benzi: “Non voglio più abortire”. L’indomani il primario fa tre cose: chiama i carabinieri per accertare se vi siano gli estremi per una denuncia contro il prete; fa togliere i crocefissi dal reparto; riconvoca la ragazza e la terrorizza: “Le pillole che le abbiamo dato provocano gravi malformazioni al feto. Deve assolutamente abortire, nell’interesse del bambino”. Così è andata. Così interpretano la legge. La mamma ci ha chiesto di fare il funerale al suo piccolo. L’abbiamo chiamato Salvatore Maria e sepolto nel cimitero di Bologna. Ci siamo accollati noi le spese. L’ho fotografato nella bara, a futura memoria. Si sappia che è esistito, questo bambino».
Altrimenti che fine fanno di solito i feti abortiti?
«Vengono sepolti solo i bimbi di età gestazionale presunta superiore alle 20 settimane. Per gli altri, la legge prevede il diritto all’inumazione solo su richiesta dei genitori, entro 24 ore dalla soppressione. Non hanno nemmeno diritto a una lapide. Qui a Modena, al cimitero San Cataldo, c’è solo un cartello: “P.A.”. Sta per “prodotti abortivi”. Tanti spazietti con un numerino. Il 1° novembre, festa di Ognissanti, abbiamo pregato per questi bimbi non nati, già santi. Tutti gli altri diventano materiale biologico e finiscono tra i rifiuti speciali».
Che cosa pensa della moratoria proposta da Giuliano Ferrara?
«È incoraggiante che su questi temi una parola forte venga da un ateo. Anch’io sono contrario all’aborto in quanto uomo, non in quanto cattolico. Non uccido i miei simili».
Però i politici cattolici, Casini in testa, avvertono: «Se si passa dalle parole ai fatti, rischiamo di fare una bella battaglia di testimonianza, ma di finire in minoranza, e alla fine avremo una legge peggiore della 194. Neanche Bagnasco e Ruini chiedono di cambiare la legge».
«Il principio è che va dichiarata inaccettabile qualsiasi legge che regoli la soppressione di un essere umano. Punto. Io sto con Giorgio La Pira, che della 194 disse: “Legge integralmente iniqua”. Non condivido affatto la posizione di chi sostiene che dobbiamo impegnarci ad applicarla meglio».
Al referendum del 1981 il 68% degli italiani votò a favore dell’aborto, il 32% contro. Lei è minoranza.
«Chi lo dice? Nel 1981 io avevo 14 anni. Non ho votato. È giusto che i genitori decidano per i figli? Mio padre era agnostico, io no. Oggi c’è un clima culturale diverso».
Sarà. Allora come si spiegano la Ru486 e la «pillola del giorno dopo»?
«Sono i medici, non le donne, che premono per passare dall’aborto chirurgico a quello chimico. Comprensibile: non ce la fanno più. Così presentano come positivo un aborto che dura fino a 15 giorni, assai doloroso per la donna, lasciata sola. Con la Ru486 la mamma dà la morte a suo figlio tra le mura di casa. L’aborto diventa un fatto privato, un fenomeno invisibile, la società perde completamente la percezione del dramma che si sta consumando. Nascerà un mercato clandestino di questi prodotti, a cui attingeranno gli sfruttatori delle prostitute schiavizzate, i mariti che non vogliono la continuazione della gravidanza delle mogli, i genitori preoccupati dello scandalo di una figlia minorenne incinta».
Il professor Umberto Veronesi sponsorizza la Ru486. E per mettere d’accordo abortisti e antiabortisti scrive: «Potremmo pensare di collocare il principio della vita quando inizia una prima forma di attività cerebrale, cioè due o tre settimane dopo la fecondazione».
«Gli accordi non si fanno sulla pelle di chi non può difendersi. Si figuri, ho avviato una campagna di pressione, Pillola amara, per mettere al bando anche le “pillole del giorno dopo”, usate nelle 72 ore successive al rapporto sessuale».
Una campagna contro chi?
«Contro le aziende farmaceutiche Angelini e Schering che producono le pasticche Norlevo e Levonelle. Molti le confondono con la Ru486. Il loro principio attivo è il progestinico levonorgestrel presente in molte pillole contraccettive, impiegato però con dosaggio 20-30 volte maggiore».
Ha provato a parlarne col cavaliere del lavoro Francesco Angelini, visto che produce anche la Tachipirina per abbassare la febbre dei bambini e i pannolini Lines e Pampers?
«Ho incontrato a Roma i suoi dirigenti. Secondo loro, fanno un’opera buona: “Prima le donne prendevano un mix di pillole altamente pericoloso”, si sono difesi».
Ho letto i codici etici del gruppo Angelini e in nessuno ho trovato traccia della parola «vita». Strano per un’azienda che si prefigge di allungarla con le medicine.
«Io sono stupefatto che possano esistere due farmaci studiati per uccidere. Invito a sommergere con cartoline di protesta sia la Angelini che la Schering».
E i farmacisti cattolici che fanno?
«Sono interessati alla campagna».
Ma intanto vendono.
«Alcuni hanno esercitato il diritto all’obiezione di coscienza in base all’articolo 9 della legge 194, e non distribuiscono questa roba».
La 194 reca in calce la firma di sei politici cattolici: Giulio Andreotti, Tina Anselmi, Francesco Bonifacio, Tommaso Morlino, Filippo Maria Pandolfi e Giovanni Leone.
«Cattolico è chi agisce da cattolico, non chi si proclama cattolico».
Avrebbero dovuto fare come re Baldovino, il quale per non firmare la norma che legalizzava l’aborto in Belgio chiese al governo d’essere sospeso per due giorni dalle proprie funzioni in base a un articolo costituzionale che prevede l’impossibilità per il sovrano di regnare quando «sia matto, malato o prigioniero»?
«Io mi sarei dimesso per sempre».
Abolita per ipotesi la 194, le donne che comunque vorranno abortire dovranno rischiare la vita.
«Prima della 194 va abolita l’induzione all’aborto. Nessuna donna vuol abortire. Sono i mariti, i fidanzati, i genitori, i magnaccia che insistono con minacce e violenza per farla abortire. Il 95% delle gestanti che avvicino mi dicono: “Io vorrei portare avanti la gravidanza”».
L’aborto c’è sempre stato e sempre ci sarà.
«Quando obiettarono a Gandhi che nessun popolo nel corso della storia s’era mai liberato dall’oppressione straniera con la non violenza, egli rispose: “Vorrà dire che noi creeremo un’altra storia”. Il fatto che l’aborto ci sia sempre stato non significa che ci sarà per sempre. Altrimenti avremmo ancora la Rupe Tarpea».
Che succederebbe il giorno dopo l’abolizione della 194?
«Calerebbero gli aborti».
Vuol ripristinare il reato di aborto che era previsto nel codice Rocco del 1931? Oppure applicare le condanne previste per l’omicidio?
«La mamma che abortisce non va punita mai: porta già in sé una pena inestinguibile. Ma il medico sì. Lui sa quello che fa».
(403. Continua)
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