La crisi campana non riguarda soltanto la Campania: indica lo svanimento dello Stato e l'oscuramento della nazione. La democrazia governante non è mai esistita nel sud, la politica è sempre stata un tessuto di clientele tese ad incamerare fondi pubblici per avere consenso. L'investimento che, con le tasse del nord, lo Stato faceva nel sud creava solo posti fasulli di lavoro - le «cattedrali nel deserto» - ma posti reali per i politici, che hanno usato per decenni i finanziamenti statali come foraggio per le loro clientele.
Oggi il rapporto tra nord e sud è più lacerato di quanto lo fosse quando la Lega si dilettava con l'acqua del Po e sbarcava fastosamente in piazza San Marco. Allora era politica, denuncia, spettacolo, immagine. Oggi il nord iper-tassato a livello statale, regionale e locale, vede che il suo contributo alla nazione determina l'assenza dello Stato nel Mezzogiorno. Questo è il problema: nel sud l'assenza dello Stato è organizzata dal sistema politico, che usa le istituzioni pubbliche come riserva di caccia.
La fine della Dc e del Psi ha determinato un aumento del potere delle clientele: i partiti di sinistra, racchiusi nell'Unione, sono diventati la forma delle clientele. Nel sud è come sparita la storia d'Italia, non ha più voce. E il nord ha la voce che si secca in gola quando pensa di aver tanto dato per salvare l'unità d'Italia estendendo il suo sistema di cultura industriale nel Mezzogiorno senza avere altro, in cambio, che il vuoto dello Stato e la cancerosità della politica. Uno Stato che tassa il nord per spendere i soldi non per gli italiani del sud, ma per i cacicchi clientelari che lo governano (post-democristiani e post-comunisti), non è sostenibile. La crisi non è più del governo Prodi: è una crisi dello Stato. E, con lo Stato, dell'unità della nazione. Il governo Prodi ricorre a rimedi disperati, offrendo alle altre regioni il privilegio di accogliere la monnezza napoletana. Ma non sa, il governo, che il localismo è divenuto, nel nostro Paese, la forma reale delle istituzioni e della società? Non lo colpisce il fatto che siano i vescovi e i parroci i difensori del localismo sacro, in cui scompare la conquista del Risorgimento, l'unità della nazione?
Oggi il Paese sembra attonito di fronte alla crisi contestuale della Campania e del governo; ma poi la gente ci penserà. Come reagirà? Disperandosi e rassegnandosi al fatto che la democrazia in Italia è impossibile e che lo Stato ha abbandonato il territorio alla monnezza, alle mafie, alla prostituzione, alla droga. Lo Stato esiste per frammenti, quando si trova un poliziotto presente, altrimenti prevale la tendenza a fare da sé.
La monnezza napoletana investe a un tempo il problema dello Stato, della nazione e della democrazia in modo molto più radicale di quanto non fosse accaduto con il tema della sicurezza e della immigrazione. La sciagura dell'Italia è questa: dal fascismo al comunismo la società italiana è stata dominata non dall'idea di ordine civile, ma da quella di rivoluzione. E questo tema rimane, a sinistra, senza alcun contenuto, ma solo nel sentimento di essere altro dalla società: chi esprime la società nell'ordine civile è un nemico, come accade a Berlusconi.
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