Alla fine, a sorpresa, è arrivato lo Stato a contribuire alla realizzazione del «film che nessuno vuole», come ha polemizzato il regista Daniele Vicari. Così Diaz, Don’t Clean Up This Blood sull’irruzione della Polizia nella scuola Diaz di Genova che ha provocato 70 feriti (ecco spiegato il titolo «Non lavate questo sangue») nella notte del 21 luglio 2001 durante il G8, ha ottenuto 400mila euro (su un budget di 7 milioni) dalla Direzione Generale per il Cinema come da delibera appena pubblicata sul sito istituzionale e subito ripresa dal genovese Il Secolo XIX con un titolo inequivocabile: «E lo Stato finanzia il film sul G8 che accusa lo Stato» preconizzando «le probabili proteste del centrodestra». Che, se arriveranno, chiameranno in causa il dicastero guidato da Giancarlo Galan - chissà quanto a conoscenza della patata bollente - da cui dipendono i contributi per i film ritenuti di «interesse culturale». Proprio come quello di Vicari, che ha ottenuto un punteggio di valutazione molto alto dall’apposita commissione, presieduta dal direttore generale Nicola Borrelli e formata da Rosaria Marchese, Antonio Ferraro, Enrico Magrelli, Francesco Gesualdi, Oscar Iarussi e Dario Viganò. Qualcuno già teme che si ripeta lo psicodramma de La prima linea di Renato De Maria quando una decisione simile, ma con un finanziamento molto più alto (un milione e mezzo), fece inalberare Bondi, predecessore di Galan, inducendo il produttore Andrea Occhipinti a rinunciare al contributo - gesto più unico che raro - per un film non certo compiacente con il terrorismo di sinistra.
Intanto però, paradossalmente, le uniche proteste che si sono levate su Diaz, Don’t Clean Up This Blood sono state quelle dei familiari di Carlo Giuliani insieme a Enrica Bartesaghi e Lorenzo Guadagnucci del Comitato Verità e Giustizia per Genova e a Vittorio Agnoletto ex portavoce del Genoa Social Forum. Solo perché Domenico Procacci, che produce con la sua Fandango insieme alla romena Mandragora Movies (il film è stato girato in gran parte a Bucarest) e alla francese Le Pacte, si era permesso di «mettere a disposizione» del Capo della Polizia Manganelli la sceneggiatura, senza peraltro ottenerne alcun riscontro. «Siamo sorpresi e preoccupati, perché non ha fatto altrettanto con noi», fu l’attacco da sinistra. «Non volevamo comportarci con un’istituzione del nostro Paese come se il film fosse fatto di nascosto», fu l’adulta risposta di Procacci prima ancora di quella, caustica, del regista: «È un film che in Italia nessuno vuole e, ironia della sorte, ora anche il Comitato di verità e giustizia non è sicuro di volerlo».
Naturalmente il film dovrà essere giudicato solo quando uscirà, probabilmente in primavera, in tempo per la vetrina del festival di Cannes (si spera non in chiave anti-italiana). Ma certo, basandosi essenzialmente sugli atti del processo giunto al secondo grado, non è difficile immaginare dove il film andrà a parare mostrando le violenze univoche dei poliziotti in quella che «sembrava una macelleria messicana», secondo l’ormai celebre definizione di Michelangelo Fournier (interpretato da Claudio Santamaria), all’epoca vicequestore aggiunto del primo Reparto Mobile di Roma. I bene informati assicurano che non mancherà la ricostruzione delle violenze dei famigerati black bloc e delle frange più violente dei manifestanti, causa scatenante della reazione della Polizia.
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