Lo studio di Arturo Ghergo era a Roma, in via Condotti 61. Negli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta, tutta la bella società passava da lì. O ambiva a passarci per desiderio d'immortalità. La bottega del fotografo più noto del tempo era frequentata da personaggi come l'Aga Khan, Giulio Andreotti, Alcide De Gasperi, Galeazzo Ciano, da attori e attrici come Ingrid Bergmann, Vittorio Gassman, Isa Miranda, Amedeo Nazzari, Alida Valli. Nobildonne, politici, regnanti, industriali, ambasciatori erano assoggettati al suo stile nuovissimo di inquadrare volti. Andare da lui a farsi fare un ritratto era uno status simbol, era impossessarsi del marchio di appartenenza alla società dei famosi, ricchi e belli. Le sue immagini più note, 350 in tutto, sono ora raccolte a Palazzo Reale per un'antologica che ne abbraccia lintera carriera celebrandolo come uno dei protagonisti della fotografia del nostro Novecento. Marchigiano di origine, si trasferì a Roma nel 1929 con l'ambizione di affermarsi come miglior fotografo della Capitale. Aveva imparato la tecnica di questa «nuova» arte nel laboratorio del fratello e divenne presto punto di riferimento dell'aristocrazia romana e del mondo che ruotava intorno alle luci di Cinecittà.
A quei tempi era un susseguirsi di onde e boccoli tra i capelli, erano crinoline, gonne fruscianti e gesti eleganti da signore, espressioni severe e brillantina per le pose da uomini. Stava nascendo la fotografia di moda, quella che finiva sui rotocalchi e dava la percezione di un grande cambiamento sociale, quando l'Italia non era ancora punto di riferimento mondiale per il settore che oggi ci rende celebri. Ghergo è considerato il pioniere della glamour photography, da lui interpretata utilizzando un lieve gusto pittorico e una modernità concettuale per noi inedita. Aveva un talento particolare per scovare la fotogenia. Controllava scrupolosamente composizione, illuminazione, obiettivi, pellicole, stampe e ritocchi. E difficilmente accettava luso di elementi esterni di distrazione. Questo dice di lui la moglie Alice Barciska, che prima di sposarlo lavorò dieci anni per lui e rimase sempre al suo fianco: «Ha un forte ascendente psicologico sulla persona che sta davanti alla macchina fotografica, in particolare se si tratta di una donna: la capisce, sa metterla a suo agio, farla sentire bella. Spesso impiega una, due ore prima di scattare una fotografia. Non di rado l'attrice finisce quasi per svenire dallo sforzo al quale è sottoposta sotto le luci calde dei proiettori. Questo è il momento migliore per ottenere l'espressione voluta: quando la volontà del soggetto non si oppone più alla volontà del fotografo». Altri tempi, altri modi, che gli valsero la stima di Papa Pio XII, da lui immortalato nel 1939.
Aperta fino al 29 giugno con ingresso libero. Catalogo Silvana Editoriale. Per altre informazioni, tel. 02.80509362.
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