Stavolta la Lega fa male i conti in bilico tra lotta e governo

L’eco del «fuori dalle balle» di Umberto Bossi non si è ancora spenta. Ma assieme a quell’ordine, stavolta nell’aria aleggia un’altra sensazione: che la Lega non abbia fatto bene i propri conti. L’emergenza di Lampedusa ha faticato a trovare una soluzione. L’applicazione rigida della legge Bossi-Fini appare inadeguata a gestire i flussi di disperati. Il ministro Maroni si fa sentire soltanto per ripetere la differenza tra clandestini e richiedenti asilo: distinzione sacrosanta sulla carta quanto aleatoria nei fatti. Intanto le elezioni amministrative si avvicinano e gli elettori del Carroccio scalpitano vedendo in tv le immagini degli sbarchi e dei respingimenti francesi. Gli immigrati non si muovono dall’Italia.
Qualche ingranaggio si è inceppato al Viminale, in una macchina finora oliata ed efficiente? Di sicuro non è stata predisposta alcuna misura preventiva. I disordini in Tunisia sono scoppiati a dicembre e dopo un mese Ben Ali è stato destituito. Non era difficile prevedere che sarebbe ripresa la fuga massiccia dal Paese, nonostante la gioia collettiva per la fine della dittatura e la prospettiva della ripresa economica. In Nordafrica il mito della ricchezza facile in Occidente resta forte e in questi mesi le autorità tunisine appaiono più impegnate a controllare la situazione interna e pattugliare il confine con la Libia, piuttosto che perlustrare le coste. Fattori - sottovalutati - che hanno concorso a far riprendere il mare ai barconi.
Scarsi rinforzi a Lampedusa, nessun campo di emergenza altrove: siamo rimasti immobili in attesa dell’inevitabile, nella speranza che un miracolo ci evitasse lo «tsunami umano». Quando è scoppiato il caos, dal Viminale sono giunti numeri allarmanti: Maroni ha previsto di ospitare 50mila richiedenti asilo e respingere tutti gli altri. Ma la realtà ha preso una piega diversa. La gente approdata a Lampedusa in fuga dai conflitti - libici, eritrei, ivoriani - è pochissima: la stragrande maggioranza proviene da Tunisia ed Egitto, dove regna la calma dopo poche settimane di tumulti.
Sono maschi tra i 20 e 35 anni, robusti, in grado di lavorare; rari i vecchi, i bambini, le donne, i nuclei familiari che hanno perso tutto. A norma di legge essi sono clandestini. Ma vanno pure ospitati nei centri di accoglienza, identificati ed eventualmente rimpatriati: operazioni che richiedono mesi in condizioni normali, figurarsi oggi. E nel frattempo l’Italia deve garantire a ciascuno una sussistenza minima: un tetto, cibo, medicine. Deve impiegare militari o personale civile per l’assistenza e la sorveglianza dei campi, e al contempo organizzare i trasferimenti via nave o in volo.
È anche evidente che tutta questa gente non può restare a Lampedusa, un’isola ripiombata nell’emergenza dopo che gli accordi commerciali con i Paesi nordafricani avevano garantito un paio d’anni tranquilli. Ma al Viminale non si è pensato di allestire tendopoli provvisorie lontano dalla Sicilia finché la situazione non si è fatta esplosiva. E quando si è messo mano alla questione, la ripartizione dei nordafricani ha risparmiato il Nord, bacino elettorale leghista dove però si è irrigidito anche qualche governatore di sinistra nel timore di perdere voti. Si era parlato di una distribuzione sul territorio proporzionale al numero degli abitanti, ma non è stato così. Scelta che ha provocato le dimissioni del sottosegretario Alfredo Mantovano. Silvio Berlusconi ha dovuto ripetere il solito «ghe pensi mi» e andare a Lampedusa: Maroni non si è mosso da Roma, anche se domani accompagnerà il premier a Tunisi per chiedere maggiore disponibilità a riprendersi i fuggitivi.
E se ora si muove qualcosa in Europa, non è grazie alle pressioni del Viminale ma alle palesi violazioni francesi degli accordi di Schengen. I ferrei controlli alla frontiera con l’Italia hanno irritato perfino i flemmatici burocrati di Bruxelles.

La via d’uscita sarà concedere ai profughi i permessi di soggiorno provvisori di sei mesi come «protezione umanitaria» previsti dalla Bossi-Fini: non essendo più clandestini, essi non potranno essere né espulsi né respinti dopo aver passato le Alpi. Per la Lega sarà una mezza marcia indietro. Non sempre l’intransigenza è la politica migliore.

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