Cultura e Spettacoli

Steve Davislim: «Io, il moderno Idomeneo»

Il giovane tenore australiano, protagonista della prima alla Scala, si racconta. Dieci anni fa ero Arbace, ora sono maturo per il ruolo principale»

Piera Anna Franini

da Milano

Idomeneo di Mozart, opera in tre atti al Teatro alla Scala il prossimo 7 dicembre, sigla un’inaugurazione di stagione a suon di debutti. Debutto sul podio del Piermarini per Daniel Harding, idem per regista, scenografo e l’ottanta per cento dei cantanti solisti. Lo stesso ruolo del protagonista segna un esordio, quello di Steve Davislim, tenore con un passato da cornista, australiano ma ora residente a Vienna. Davislim sarà Idomeneo, l’uomo cui viene chiesto di sacrificare il figlio Idamante e quindi in bilico fra l’amore per il figlio e i doveri della sua figura di re di Creta. Prima volta al teatro alla Scala, mai stato prima d’ora Idomeneo, il tutto ha preso il via a metà settembre, «dopo una telefonata», spiega il cantante. A chiamarlo, Daniel Harding in persona.
Ha già collaborato con Harding in passato?
«No, Idomeneo segna il nostro primo incontro».
Harding come è arrivato a lei?
«Ha chiesto consiglio al direttore John Eliot Gardiner che mi ha ritratto come un cantante adatto al ruolo di Idomeneo. Già dieci anni fa ho affrontato quest’opera, ma nei panni di Arbace, ora sono maturo e posso passare a Idomeneo».
Che cosa richiede Idomeneo a un cantante?
«Un determinato colore, agilità e... una certa età».
Se dovesse tracciare un profilo del suo personaggio?
«Un uomo di grande spessore morale e senso di responsabilità. Vive la tragedia di un uomo cui viene chiesto di sacrificare il figlio. Io sono padre, di un bimbo di dieci e di una bimba di sei anni, quindi posso capire profondamente il suo dramma».
Dove un cantante corre rischi affrontando questo ruolo?
«L’aria di coloratura Fuor del mar richiede agilità e tanta energia».
Come si lavora con Harding?
«Bene, appartiene alla buona scuola inglese. Sono attratto dalla sua istintività musicale, dal suo cercare espressività ovunque: un’espressività logica».
Condivide le scelte del regista Luc Bondy?
«Sì. Mi piace l’idea di sostituire i soliti effetti del teatro barocco con più semplici giochi di luce e di fumi. Promuovo totalmente la soluzione adottata per tradurre la presenza del mostro marino, una scelta pratica».
Che ruolo gioca Mozart nel suo repertorio?
«Si ritaglia un ruolo di primo piano, è l’autore in assoluto che canto di più. Ho affrontato Don Giovanni, Così fan tutte, Il ratto dal serraglio, Flauto magico e ora ritorno a Idomeneo».
Quali altri titoli mozartiani in futuro?
«La clemenza di Tito, poi si vedrà: la mia voce sta cambiando, quindi aspetto di conoscerne le evoluzioni».
Quali difficoltà ha comportato crescere in Australia?
«Non disconosco, quindi i miei studi al Victorian College of Arts. Certo, a 22 anni ho dovuto lasciare l’Australia e ho viaggiato per tutt’Europa, conoscendo anche mia moglie che studiava oboe con Holliger. Sono stato tre mesi a Firenze, poi in Grecia, in Germania e parecchio in Svizzera, all’Opera di Zurigo.

Torno in Australia regolarmente quando voglio riprendermi dalle fatiche del palcoscenico».

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