Doveva essere in Senato, ieri mattina, invece eccolo a piazzale Clodio, puntualissimo. E a briglia sciolta. Non voleva che il processo fosse rinviato. Anche a costo che, in sua assenza, la maggioranza passasse per un voto. È un fiume in piena Francesco Storace nel giorno tanto atteso, quello in cui il gup Enrico Imprudente deve decidere se rinviarlo a giudizio insieme ad altre nove persone per lincursione illecita di Laziomatica nella banca dati del Comune per boicottare, a detta della Procura, la lista Alternativa Sociale di Alessandra Mussolini. Alla fine la sentenza non arriva, bisogna aspettare il 26 febbraio. Ma lex ministro è in Tribunale lo stesso, vuole parlare. E lo fa dentro e fuori dallaula. «Oggi saprete tutta la verità sulla vicenda. Laccusa di spionaggio ci è costata 25mila voti», attacca.
Alternativa sociale chiede vanamente di essere ammessa come parte civile. Ammesse invece le costituzioni di Laziomatica e del Campidoglio. E il processo rimane a Roma, non si trasferisce a Milano come avrebbero voluto Nicolò Accame, già portavoce di Storace, e linvestigatore privato Pierpaolo Pasqua. Poi arrivano due richieste di patteggiamento: Dario Pettinelli, uno degli esperti in comunicazione che lavorava alla Regione, tra i principali accusatori di Storace, vorrebbe uscire dal processo con una condanna a 3 mesi convertita a pena pecuniaria; il detective Gaspare Gallo chiuderebbe la partita con 10 mesi. Ma su questo il gip si pronuncerà il primo marzo. Lassenso della Procura alla richiesta di Pettinelli, intanto, fa infuriare lex ministro della Salute: «È uno scandalo. In Italia si fa dimettere un ministro per una pena di 3mila euro. È tutto ridicolo». Pure in aula Storace non dà tregua a Pettinelli. Questa la linea di difesa sostenuta dagli avvocati Giosuè Naso e Domenico Marsi, sindaco diessino di Frosinone e amico dellex governatore del Lazio («siamo due persone che si stimano politicamente e umanamente, dopo essere stati avversari», dice il legale): «Abbiamo dimostrato che le accuse di Pettinelli sono inattendibili, prive di riscontro e dettate da livore e astio personale perché quando Storace passò al ministero portò con sè una dozzina di vecchi collaboratori, ma non Pettinelli. Il quale, con lettere minacciose, pretendeva che Storace gli trovasse un impiego». «È stata una trappola, una manovra molto seria contro di me. Aveva ragione Berlusconi quando mi disse di non dimettermi», dice Storace dopo aver testimoniato. «Le accuse nei miei confronti - continua - sono riferite unicamente a quello che ha detto Pettinelli, il quale sostiene che io ho istigato questo gruppo il 9 marzo del 2005. Quel giorno io stavo a Latina, non a Roma. Come potevo partecipare a quella riunione. Arrivai in Regione solo alluna di notte per vedere i tg e raccogliere alcuni documenti che mi erano necessari per andare lindomani a Viterbo per la campagna elettorale».
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