Politica

Storia di un rapporto difficile

Quando si dice il caso, o se preferite gli alti e bassi della vita: proprio nelle ore in cui Giulio Tremonti, da poco dimissionato, fissava sconsolato il telefonino muto mentre passeggiava nelle montagne vicino a Lorenzago, Claudio Scajola incontrava le sorelle Papa al ministero delle Attività produttive per perfezionare l’acquisto dell’appartamento «incriminato» di via del Fagutale. Il ministro del Tesoro era stato sacrificato il 3 luglio 2004; il rogito del suo collega di governo venne firmato il 6 luglio. Oggi, sei anni dopo quelle vicende, Tremonti siede saldissimo nella sua poltrona di via XX Settembre, e Scajola non ha più la sua poltrona in via Veneto.
I due conoscono, per dirla con Manzoni, «la polvere e l’altare». Ma quando sono stati insieme sugli altari ministeriali, non si sono mai amati. Una sorda ostilità reciproca, covata dapprima sotto la cenere, ma venuta allo scoperto più volte nei ventiquattro mesi di vita di questo governo. Niente di particolarmente clamoroso - fatta eccezione, probabilmente, della storiaccia del papello antitremontiano che ha lasciato strascichi non indifferenti fra il ministro dell’Economia ed alcuni esponenti del Pdl - ma un punzecchiarsi continuo che non poteva, comunque, passare inosservato.
Scajola ha voluto caratterizzare la sua presenza al governo con un obiettivo strategico, e un altro contingente: il ritorno al nucleare, e l’erogazione di incentivi temporanei ai settori industriali in maggiore difficoltà. Non è un mistero per nessuno che Tremonti ritenga troppo costoso l’obiettivo strategico, soprattutto in un momento in cui i prezzi del greggio sono, bene o male, sostenibili. E che consideri soldi buttati i finanziamenti per gli incentivi. Durante il lungo esame parlamentare del «ddl sviluppo», che contiene anche le norme sul nucleare, Tremonti aveva inviato in Parlamento una lunga lettera in cui, esprimendo rilievi negativi su 34 norme e presentando 18 proposte di modifica, accusava il provvedimento di «determinare incrementi delle tariffe a carico dei consumatori». Inoltre il disegno di legge, secondo Tremonti, conteneva «norme che presentano gravi profili di legittimità sotto l’aspetto contabile, pregiudicando l’equilibrio economico-finanziario dell’intero provvedimento». Un giudizio peggiore è difficile da immaginare.
Anche sugli incentivi c’è stato un duro braccio di ferro fra i due, sull’entità dei finanziamenti da concedere. Alla fine l’ha spuntata il ministro dell’Economia che se l’è cavata mettendo sul piatto 300 milioni di euro, 200 dei quali finanziati dai proventi della lotta all’evasione fiscale. Niente rottamazione per le auto, con folate di gelo provenienti da Torino. «Che ci sia una dialettica vivace fra il ministro Tremonti, che deve tutelare i conti pubblici e a volte lo fa con atteggiamenti un po’ spigolosi, e i ministri di spesa non mi pare una gran novità», commentava Scajola. Tradotto dal democristianese, la frase significava: Tremonti ci ha rotto.
Eppure nei corridoi ministeriali si racconta che, proprio nei giorni del difficile confronto sugli incentivi, il ministro dello Sviluppo avesse fatto qualche avance, insomma un tentativo di avvicinamento riconoscendo a Tremonti una sorta di primato nella guida dell’economia, e ottenendo in cambio un po’ di mano libera nelle materie più specifiche. A quanto si sa, la manovra non andò in porto «perché - dicono alcuni - con lui (Scajola, appunto) non è facile fare patti». Forse era ancora troppo fresco il ricordo del papello antitremontiano preparato in autunno in via dell’Umiltà su incarico, si racconta, di alcuni notabili di partito: Verdini, Cicchitto e appunto Scajola. Tutte indiscrezioni smentite ufficialmente dagli interessati, tanto che alla fine quel documento di politica economica non aveva più né padre né madre, forse si era scritto da solo. Nel negarne la paternità, Scajola però disse che di quegli argomenti (in sostanza, dell’incremento di spesa pubblica per far uscire il Paese dalla crisi) si discuteva apertamente nel Pdl.


A dispetto del papello, Tremonti non ha scucito un centesimo: a sei mesi di distanza i fatti, a quanto sembra, gli danno ragione.

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