La storia sconosciuta della guerra nell’Egeo

Caro Granzotto, lei ha meritatamente sottratto dal fragoroso silenzio mediatico la Resistenza con le stellette nel mare Egeo. Nel caso di Creta ricordiamo che quando i tedeschi si impadronirono dell’isola eliminando la guarnigione italiana, circa 5mila nostri soldati si diedero alla guerriglia sui monti insieme con i partigiani greci. Questi ultimi si dividevano in comunisti dell’Elas ed anticomunisti dell’Eok. Quando i tedeschi nell’autunno 1944 si ritirarono dalla Grecia, il generalmajor Georg Benthack, comandante della guarnigione (133ª Festung-Division Kreta), contattò i partigiani dell’Eok dando loro armi e munizioni al duplice scopo di favorire la ritirata dei suoi e di rafforzare i non comunisti. Nel maggio 1945, firmata la fine della guerra, con i suoi carri armati Benthack aiutò gli inglesi a respingere gli attacchi comunisti. Scrive il giornalista Werner O. Feist. «Fu l’inizio di una grottesca collaborazione degli inglesi con i loro precedenti nemici contro i loro attuali alleati». La cosa non era però troppo grottesca. Churchill terrà in armi 3 milioni di tedeschi prigionieri come potenziale difesa contro le mire di Stalin fino a che in giugno non sarà sperimentata in America la bomba atomica. E infatti i tedeschi di Creta saranno trasportati nei campi di concentramento egiziani solo in luglio.
Non sarei così sicuro, caro Montemaggi, della benevolenza della resistenza cretese, almeno nei primi tempi, nei confronti degli italiani scampati ai tedeschi. Si sa davvero poco, anzi, pochissimo, delle vicende dei nostri connazionali restati sull’isola. Di certo molti di essi furono messi al muro dagli ex alleati e non pochi finirono sotto il fuoco dei cretesi, non proprio disposti a considerarli amici in quanto neo nemici dei nazisti. Pesò, sul giudizio, lo sbarco italiano del 29 maggio ’41, al tempo della conquista tedesca dell’isola. Sbarco del tutto inutile perché avvenuto quando gli inglesi avevano già cominciato a sgombrare, ma che comportò uno scontro, nella baia di Stia, proprio con formazioni partigiane cretesi, che i nostri annientarono. Maggior fortuna toccò ai britannici che non riuscendo ad imbarcarsi (nella notte del 29, proprio quando i 2.700 italiani sbarcavano a Stia, i bombardieri tedeschi affondavano o danneggiavano seriamente l’«Imperial», l’«Hereward» l’«Orion» e il «Dido», navi destinate alla evacuazione dei britannici. Novemila furono quelli costretti a restare, da sbandati, sull’isola) trovarono aiuto nella resistenza, alla quale si unirono. Sono tutte vicende poco conosciute, come lo è la sorprendente alleanza degli inglesi il generale Georg Benthack, il quale per due mesi rimase a capo della sua divisione sotto l’autorità britannica. Militare tosto, quel Benthack: nel gennaio del 1953 una Corte civile tedesca lo mise sotto processo per aver condannato alla fucilazione - senza una preventiva corte marziale - quattro soldati che si erano rifiutati di eseguire gli ordini. Ciò avvenne il 9 maggio del ’45, ovvero nel giorno in cui la divisione passò sotto comando inglese. Il giudice gli chiese: «Cosa avete da dire a vostra difesa?». E Benthack: «Non devo difendermi. Tornassi indietro, lo rifarei. Eravamo in guerra». Venne assolto.
E così grazie a lei, caro Montemaggi, abbiamo aggiunto un altro tassello alla storia misconosciuta della guerra nell’Egeo. La commemorazione - tardiva, anche se meglio tardi che mai - della Resistenza con le stellette a Cefalonia lascerebbe sperare in un rinnovato interesse con conseguente «riabilitazione» di quelle vicende. Ma ci credo poco. Per molti, per troppi, quando la verità entra in conflitto con la vulgata storica, essa viene liquidata come revisionismo. Per quei troppi, per quei molti, vale ancora il grido di battaglia (culturale) che lanciò Giancarlo Pajetta: «Fra la verità e la rivoluzione scelgo la rivoluzione».
Paolo Granzotto

P.S.: Nella mia risposta di ieri è rimasta nella penna una X. Nel suo valore più corrente la X significa un pareggio. Ieri invece ha stravolto di secoli un papato.

Si trattava infatti di Leone XIII e non Leone III.

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