Le storie di questi bambini malati sono tante e struggenti, molte a lieto fine. Per curare i ragazzi africani, infatti, non bastano strutture e medici in gamba.
Servono strade, macchinari. Anche per non rischiare la vita dopo l'intervento riuscito, come è successo a Bella, una 20enne camerunense settima di nove figli, operata tre anni fa. «Il cuore non mi funzionava bene dalla nascita, ma mia madre mi curava con il balsamo di tigre e allospedale di Yaoundé (la capitale) non capivano la mia malattia, con il risultato che non respiravo bene, ero sempre cianotica per lo sforzo e a 11 anni pesavo 29 chili: il mio cuore era più grande della testa - racconta -. Sono arrivata a Shisong solo nel 2006 grazie a un amico italiano di una delle mie sorelle. Ormai non andavo più a scuola e non uscivo più a giocare. Mi operarono immediatamente. E da allora la mia vita è cambiata del tutto». Peccato che i 400 chilometri che collegano Shisong a Yaoundè siano per lo più lungo una strada sterrata e piena di buchi, che richiede dieci ore di pullman.
«Arrivata a casa, a causa dei «salti» in auto, si erano aperti dei punti. E un medico del centro cardiaco ha dovuto raggiungermi e sistemare le suture».
Benoit, un bimbo di due anni e mezzo, aveva una malformazione rarissima, il «truncus»: il cuore sviluppa un solo vaso per sangue venoso e sangue arterioso mandando lorgano in tilt.
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