A llinizio cè il cibo. È lui il vero motore immobile dei movimenti e/o sommovimenti degli umani. È un dato di fatto che Prezzolini raccontava così: «La scuola è fatta per avere il diploma. E il diploma? Il diploma è fatto per avere il posto. E il posto? Il posto è fatto per guadagnare. E guadagnare? È fatto per mangiare. Non cè che il mangiare che abbia fine a se stesso, sia cioè un ideale».
E quindi, volendo, i lunghi corsi e ricorsi dellavventura di noi bipedi implumi potrebbero, anzi dovrebbero, essere raccontati anche in questottica. Gli storici però hanno optato raramente per unanalisi di questo tipo. Ecco allora perché è divertente compulsare le pagine del saggio di Tom Standage che sarà in libreria dal prossimo venerdì: Una storia commestibile dellumanità (Codice, pagg. 246, euro 24, trad. S. Bourlot). Sin dallintroduzione intitolata «gli ingredienti del passato» Standage, laureato ad Oxford e penna di punta dellEconomist e del New York Times, decide di dire pane al pane (vino al vino lo aveva già detto in uno studio precedente: Storia del mondo in sei bicchieri). Il risultato è un libro agile, ma rigoroso, che guarda gli ultimi quindicimila anni di vicenda umana da una prospettiva peculiare ma imprescindibile: quella dello stomaco (possibilmente pieno).
E se a guidarci sono grelina (lormone della fame) e succhi gastrici non è detto che il mondo non ci appaia sotto sopra. Tanto per dire Standage accumula un buon numero di prove scientifiche che dimostrano che il passaggio dal sistema della caccia e della raccolta allagricoltura non è stato un gran vantaggio alimentare. Scheletri alla mano risulta evidente che i nostri antenati cacciatori del neolitico avevano uno standard nutrizionale molto più alto di quanto si potessero permettere la maggior parte dei coltivatori (almeno sino allottocento). Non solo: qualunque antropologo potrebbe dirvi che nelle società di cacciatori-raccoglitori si travagliava al massimo per un paio di giorni a settimana. Altro che la massacrante fatica del lavoro dei campi, che non conosce requie.
Allora come si spiega lo strettissimo legame tra uomo e cereali che ha improntato tutte le civiltà? Standage dedica moltissimo spazio alla questione che si spiega essenzialmente in due modi: paura del futuro e scelte sociali. Modificare le piante selvatiche trasformandole nelle gracili, ma fruttifere, varietà domestiche consentiva di pianificare il domani. Come dire: meglio una dieta povera ma garantita negli anni che la pacchia della buona selvaggina che poteva finire di colpo.
Senza contare che per vivere felici raccogliendo frutti di mongongo, come ancora fanno i boscimani !Kung, e mangiando succulenti spiedini di gazzella è necessario essere nomadi e, quindi, non possedere praticamente nulla che non si possa caricare su un paio di spalle (il che comporta anche di non fare più di un figlio ogni 3-4 anni). Appena lagricoltura ci ha reso stanziali, invece, è stato tutto un fiorire di proprietà privata e di stratificazione sociale. Insomma tempo qualche manciata di migliaia di anni gli agricoltori si sono moltiplicati trasformando, radicalmente, lintero pianeta con la più grande rivoluzione tecnologica della storia.
Ed in questottica il libro di Standage, senza stimolare inutili appetiti polemici, mette anche una bella croce sopra alla querelle tra i sostenitori del cibo naturale contrapposto a quello geneticamente modificato. Tutto quello che mangiamo e che esce dai nostri campi è figlio di unattenta selezione genetica vecchia di migliaia di anni. È tutto geneticamente modificato, seppure alla buona.
Qualche esempio? In natura il mais non esiste. Esiste il teosinte, una pianterella cespugliosa, con in cima pannocchiette corazzate contenenti qualche semino rachitico. I nativi americani (che non erano nativi ma avevano attraversato lo stretto di Bering per primi) si diedero da fare per selezionare quelle che, grazie a unalterazione genetica, producevano pannocchie giganti. In pochi secoli era nato il mais, una riserva di carboidrati a basso costo, simbiotica con luomo e assolutamente non in grado di diffondersi da sola in natura. Chi vuole pop corn non geneticamente modificati vada a raccogliere teosinte nella prima sassaia messicana che trova.
Insomma, luomo per riempirsi la pancia ha cambiato immensamente il mondo e nel farlo ha cambiato anche se stesso. Citando solo alcuni degli altri spunti forniti da Standage: ha percorso migliaia di miglia per procurarsi costosissime spezie (che servivano ben poco a conservare alimenti e molto più a innalzare il proprio status), ha combattuto guerre per procurarsi del cibo e ha inventato nuovi cibi per poter combattere più guerre (il francese Nicolas Appert ha inventato la carne e la zuppa in scatola proprio per favorire gli sforzi bellici del suo paese), ha usato la fame come arma (Stalin è stato il maestro indiscusso) e trasformato un buon pezzo di cioccolato in una reclame della vera democrazia (gli Americani nel liberare lItalia o nel rifornire Berlino Ovest durante lassedio comunista). Questi cambiamenti non sono certo finiti e, come avvisa Standage, alcune decisioni che stiamo prendendo possono anche essere pericolose.
La storia è servita Più del fucile poté la forchetta
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