Italia al neon

Raul Gardini, il corsaro della Borsa: tra scalate e declivi pericolosi

Raul Gardini ha incarnato il sogno del capitalismo italiano, le sue epiche scalate di Borsa lo hanno portato in cima, prima della tempesta Mani Pulite

Raul Gardini, il corsaro della Borsa: tra scalate e declivi pericolosi
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Un trascinatore, un leader naturale e un uomo dalla visione illuminata. Raul Gardini non riusciva a fermarsi al presente, non metteva mai l'ancora, seguiva il flusso del mare, come quello del suo amato Adriatico, e si proiettava con energia instancabile verso obiettivi futuri, per i più imponderabili. Uno spirito da vero corsaro quello dell'imprenditore ravennate, classe 1933, che ebbe il suo momento di massimo fulgore negli anni '80, salendo agli onori della cronaca per le grandi scalate finanziarie dal sapore temerario, che lo proiettarono nelle stanze dei bottoni della politica italiana e tra il gotha degli industriali nostrani. Gardini era orgoglioso della sua origine romagnola, di essere nato in quella città che fu capitale dell'Impero romano d'Occidente prima e del Regno degli Ostrogoti poi, non dimenticando mai la bellezza delle cose semplici, dei profumi del mare e della terra, di quanto sia benefico il calore di una famiglia unita e l'importanza di una stretta di mano tra gentiluomini. Gardini ha vissuto la vita a modo suo, seguendo le sue regole, pagando a caro prezzo un orgoglio che lo ha spinto a togliersi la vita con un colpo di pistola la mattina del 23 luglio 1993, a Milano, nel suo appartamento di Palazzo Belgioioso. Nel mezzo, però, vale la pena raccontare la vicenda personale di un uomo che ha saputo stupire e scioccare, nel nome di un capitalismo rampante e senza freno come quello esploso in Italia nella seconda metà degli anni '80.

Alla guida della Ferruzzi

Nel 1948 Serafino Ferruzzi, romagnolo doc, fonda la sua azienda, la Ferruzzi, che in una prima fase commercializza legname e calce, poi diventa leader nel trattare le materie agricole. Negli anni '60 l'impresa ravennate si ritaglia spazio come primo importatore italiano di grano, soia, olio di semi e cemento, diventando uno dei principali operatori del settore in Europa e, di conseguenza, nel mondo. Raul Gardini nel 1957 sposa la figlia del patron della Ferruzzi, Idina, e quando il vecchio Serafino nel 1979 muore in un incidente aereo, la famiglia decide di affidare le deleghe operative del Gruppo proprio a Gardini. Quest'ultimo, a 46 anni, si ritrova investito del ruolo di capo di una realtà industriale, che lui guiderà a una vera rivoluzione d'assalto. Ravenna, dopo molti secoli, torna ad avere un imperatore, diverso da quelli del passato, ma animato dallo stesso spirito di conquista grazie a delle idee che hanno la forza di colpire il cuore delle persone. Lui è un visionario, ma concreto, non un sognatore, in più è animato dalla voglia di ottenere quello che desidera con un fare quasi da guascone. Alla gente piace, buca lo schermo e cattura le simpatie dei media. In breve tempo, Raul Gardini è un nome che fa strada all'interno della società italiana, arrivando ad avere una forte risonanza a livello nazionale. Tutti si accorgono di lui e nel frattempo il Gruppo Ferruzzi spicca il volo, passando dal trading all'industria, concentrando le proprie risorse nel business dello zucchero. Nel 1981 acquista la Eridania, prima azienda produttrice di idrato di carbonio in Italia, poi nel 1986 passa alla francese Béghin Say. A guidare Gardini in queste campagne finanziare c'è l'intuito e una capacità di prendere le decisioni in un breve lasso di tempo. In seguito alle numerose politiche di acquisizione, l'industriale ravennate capisce che ci sono tutte le carte in regola per entrare nell'alta finanza con un ruolo da protagonista assoluto.

La Borsa e il sogno di Raul Gardini

Dopo il lungo silenzio degli anni di piombo, nel 1985 l'Italia sembra essere rinata. Un'ondata di benessere cavalcato dal nascente rampantismo inebria gli italiani di una nuova euforia collettiva. L'arrivo dei fondi di investimento mobiliare fa quintuplicare gli incassi della Borsa, le quotazioni guadagnano il 20% a settimana e in un mese si ottengono qualcosa come 300 miliardi di lire. In questo scenario Raul Gardini mette la Ferruzzi finanziaria sul mercato, i soldi - dice lui - si trovano in Borsa e basta saperli prendere. Una scelta all'apparenza spregiudicata che si rivela quanto mai azzeccata, dato che in tre anni fa entrare nelle casse del Gruppo qualcosa come 3.000 miliardi di lire. Gli yuppies hanno un nuovo idolo da venerare, Milano diventa la capitale del sogno che passa attraverso le urla, gli strepitii e la frenesia imperante delle affollate sale di Piazza Affari. Il sogno nel cassetto di Gardini, però, è quello di riuscire a costituire un polo della chimica che si proponesse come baluardo dell'ecologia. Il suo più viscerale desiderio è quello di proporre sul mercato un carburante che avesse un legame con le materie agricole, il suo primo amore. A quel punto, il ravennate mette gli occhi sulla Montedison, grande gruppo industriale italiano attivo nella chimica e nell'agroalimentare.

Montedison
La fabbrica Montedison

La scalata a Montedison

Nel 1985 la Montedison è al centro di uno scontro molto violento tra gli azionisti, Gardini fiuta la situazione e intravede la possibilità di entrare in scena per diventare l'azionista di riferimento. Un'azione facile sulla carta, ma difficile da realizzare perché a guidare il gruppo industriale c'è un osso duro, Mario Schimberni. Quest'ultimo è un tipo riservato, enigmatico e impenetrabile, che non fuma e non beve, tanto che viene chiamato "l'uomo di ghiaccio". Schimberni è un manager di alto rango che ha come unico obiettivo quello di fare della Montedison la prima public company italiana. Nel frattempo Gemina, il salotto buono del capitalismo italiano, prende per la giacchetta Gardini cercando di spingerlo a tutti i costi a farne parte, ma lui non ne vuole sapere. Il ravennate è un romagnolo puro, un po' impulsivo, la partita per conquistare la Montedison la vuole giocare da solo. A lui la chimica serve per trasformare il prodotto agricolo e creare energia, per questo mettere le mani sulla quell'industria diventa di capitale importanza. Nessuno, però, immagina che il numero uno del Gruppo Ferruzzi ha in mente la più clamorosa operazione finanziaria del secondo dopoguerra.

Raul Gardini
Mario Schimberni e Raul Gardini, 1986

La prima fase dell'assalto alla Montedison è rapida e si conclude quasi in un lampo: l'8 ottobre del 1986 Gardini convoca il suo agente di cambio e gli ordina di acquistare più azioni possibile della Montedison. In un paio d'ore la Ferruzzi sborsa 1.500 miliardi di lire; alla fine della giornata Gardini blocca l'OPA di Cuccia e De Benedetti, e ottiene il 10% del pacchetto azionario del Gruppo operante nella chimica. La seconda fase è intrisa di diplomazia, di tessitura di rapporti e di dolce seduzione verso quegli azionisti che possiedono pacchetti importanti della Montedison. L'11 marzo 1987 Gardini ha speso un complessivo di 2.000 miliardi di lire ma in cinque mesi ha ottenuto il 40% delle quote desiderate. A novembre dello stesso anno, Gardini si issa al comando della Montedison, subentrando a Schimberni non senza un'aspra disputa tra i due leader. In appena sette anni, il ravennate diventa il secondo industriale italiano, contro ogni pronostico.

Il fallimento di Enimont

Il progetto di Gardini è in continua evoluzione, un rincorrersi perpetuo di decisioni, vale a dire che ogni passo stimola il successivo. Quando si conquista un avamposto, bisogna andare avanti e procedere a passo spedito. Non c'è mai quiete nel suo spirito. Sul finire del 1987, Gardini è il presidente della Montedison ed è il leader privato della chimica in Italia. Alla sua porta bussa la controparte pubblica, l'ENI, che ha bisogno dell'appoggio del ravennate per sopravvivere e dar vita a un polo chimico in grado di competere coi grandi del settore. Gardini si convince che l'unione tra le due realtà si può fare, con l'obiettivo di entrare almeno nei primi dieci del mondo. In poco tempo nasce la Enimont, che alla Montedison costa la bellezza di 1.200 miliardi di lire di tasse. Una spesa enorme, ma la parte pubblica promette a Gardini delle garanzie sugli sgravi fiscali con dei decreti legge. L'accordo viene siglato alla maniera contadina, o dei sensali, tramite una stretta di mano tra il ravennate e Ciriaco De Mita, presidente del Consiglio. A fine 1988 la Enimont conta 55.000 dipendenti e 16.000 miliardi di lire di fatturato, con il 40% delle quote a ENI, l'altro 40% a Montedison e il restante 20% destinato al mercato azionario. La nuova realtà pubblica-privata è il leader mondiale della chimica, ma per Gardini arriverà presto la beffa.

Raul Gardini

La politica capisce che sta per perdere un ufficio acquisti da 15.000 miliardi di lire all'anno, così in Parlamento il decreto legge aspettato da Gardini viene bocciato per due volte fino a decadere definitivamente. Poi, dopo la caduta del Governo De Mita e il ritorno di Andreotti, grande oppositore dei Ferruzzi fin dai tempi di Serafino, si mette una pietra tombale sulla questione. La politica si dimostra per Gardini il più inaffidabile degli interlocutori, inoltre, le divergenti vedute imprenditoriali tra le due realtà, porta alla rottura della joint venture con Gardini che si appella alla violazione degli impegni. Si arriva al "patto del cowboy", con la Montedison che ricopre il ruolo della parte che fa il prezzo e l'ENI di quella che compra. Dopo un iniziale tentativo di scalata da parte di Gardini alla Enimont, stoppata dal guidice Curtò con il congelamento provvisorio delle sue quote da parte del Tribunale di Milano, alla fine di novembre 1990 l'industriale ravennate abbassa la testa e vende il suo 40% all'ENI per 2.805 miliardi di lire.

Il Moro di Venezia e la caduta

Dopo il fallimento di Enimont, la famiglia Ferruzzi - stanca di inseguire le imprese spericolate - si dissocia da Raul Gardini, luquidandolo da tutti i suoi incarichi pagando una cifra di 503 miliardi di lire in contanti. L'ultima romantica impresa del ravennate è quella del Moro di Venezia, l'innovativa barca a vela che affidata al geniale skipper americano, Paul Cayard, vince la Louis Vuitton Cup del 1992 battendo in finale New Zeland per 4 a 3 dopo una rimonta insperata. La barca italiana arriva, dunque, negli Stati Uniti, nella baia di San Diego, per contendere l'America's Cup all'imbarcazione statunitense America³. Purtroppo la sfida terminerà 4 a 1 a favore dei padroni di casa, mentre per il Moro di Venezia rimane il sogno di aver spinto la vela italiana fino a toccare quasi il cielo, anche se il boccone da digerire è amaro.

Raul Gardini
Gardini sul Moro di Venezia

I trionfi in mare vengono oscurati dalle nubi di tempesta che si abbatono a Milano con le indagini di "Mani Pulite". Uno dopo l'altro politici e manager ricevono avvisi di garanzia o mandati di cattura. È un effetto domino che non risparmia nessuno e travolge tutti. Il pool di magistrati milanesi punta alla Enimont, l'inchiesta viene incuriosita da una falso in bilancio, tra il 1990 e 1991, di 150 miliardi di lire che sarebbe servito a Gardini, e alla Montedison, per corrompere funzionari di governo e uscire indenne dalla chiusura della joint venture. Al ravennate questa cifra non torna e decide di collaborare con la giustizia. Scosso da un mondo che stava crollando sotto ai suoi piedi, e impotente di fronte al flusso degli eventi, Raul Gardini la mattina del 23 luglio 1993 si spara alla testa con un colpo di pistola. Una scelta drammatica e di impeto, un ultimo atto di volontà per un uomo che ha sempre imposto la sua decisione. Con lui si chiude la pagina italiana di rampantismo e capitalismo sfrenato, del sogno della Borsa, delle luci e del divertimento.

La sua morte apre un capitolo più cupo e torbido che ha condizionato il proseguo degli anni '90 fino a segnare persino i giorni nostri.

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