Storico a New York: l’Onu condanna la pena di morte

La risoluzione per la moratoria delle esecuzioni in tutto il mondo è stata approvata dall’Assemblea Generale dell’Onu con 104 favorevoli, 54 contrari e 29 astensioni. Esultanza nel governo italiano

Storico a New York: l’Onu 
condanna la pena di morte

Con 104 voti a favore, 54 contrari e 29 astensioni l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione per la moratoria in tutto il mondo della pena di morte. Si tratta di un successo della politica e della diplomazia italiane, che lavorano a questo risultato fin da quando, nel 1994, il primo governo Berlusconi cominciò a battersi per questo risultato.

È bene osservare, come del resto ha fatto a New York il ministro degli Esteri Massimo D’Alema, che si tratta di un passo che ha per ora più che altro il valore di un’esortazione. In altre parole, il voto largamente favorevole espresso al Palazzo di Vetro non impone a nessun Paese di interrompere l’applicazione della pena capitale: ne ha dato concreta dimostrazione proprio ieri l’Iran, che ha scelto di far eseguire in contemporanea ben quattro impiccagioni. Lo stesso ministro ha però detto che dopo questo successo comincia un altro tipo di lavoro: quello per far sì che dalle esortazioni si passi ai fatti, insomma che la pena di morte venga effettivamente sradicata da tutti i Paesi del mondo.

Che quello di ieri sia stato un risultato importante è comunque un fatto. Basti pensare che la risoluzione presentata dall’Italia tredici anni fa era stata respinta per soli otto voti dall’Assemblea generale, ed era poi stata lasciata a metà nel 1999, quando un’altra risoluzione dell’Unione europea fu ritirata all’ultimo momento. A partire dal luglio 2006, passo dopo passo, il governo Prodi ha ripreso l’impegno e nella primavera di quest’anno ha ottenuto dall’Unione Europea prima un mandato unanime per preparare con la presidenza tedesca la risoluzione sulla moratoria, poi una «decisione formale» che impegnava l’Europa a presentare la risoluzione in settembre. Le tappe successive hanno luogo in sede Onu: il 15 novembre la terza commissione dell’Assemblea Generale approva la risoluzione sulla moratoria delle esecuzioni con 99 voti a favore, 52 contrari e 33 astenuti; ieri, infine, l’Italia vince la sua battaglia.

Interessante notare che ha votato a favore della moratoria anche la Russia, mentre i rappresentanti di alcuni Paesi dell’area caraibica più Singapore e la Nigeria hanno invece preso la parola prima del voto per motivare il loro pronunciamento contrario. In particolare, la rappresentante di Antigua e quello di Barbados hanno sostenuto che i diritti dell’uomo sono rispettati anche laddove la pena di morte è in vigore, spiegando di considerare la risoluzione come una infrazione della sovranità nazionale. La rappresentante di Singapore, capofila dei Paesi sostenitori della pena capitale, ha invece sottolineato «l’acrimonia» del dibattito in Terza Commissione e il fatto che «non c’è consenso sulla pena di morte».

Anche questo è un dato di fatto. Paesi come la Cina, l’Iran, il Pakistan, la netta maggioranza degli Stati arabi e, in misura assai minore, gli Stati Uniti, continuano a far lavorare il boia con molto impegno. Nel 2006, secondo dati degli abolizionisti di «Nessuno tocchi Caino», sono state eseguite almeno 5.628 condanne a morte in 27 Paesi diversi: di queste, oltre cinquemila nella sola Cina. La strada per fermare le esecuzioni nel mondo appare ancora decisamente in salita.

Ieri, tuttavia, è stato il giorno delle celebrazioni. Soprattutto in Italia. Italiani erano, non a caso, la gran maggioranza dei giornalisti presenti al Palazzo di Vetro di New York.

E quasi nessun politico nazionale ed esponente di associazioni ha perso l’occasione per rallegrarsi pubblicamente: da Napolitano a Prodi al già citato D’Alema a Veltroni a Pannella, mentre all’opposizione, tra gli altri, Berlusconi e il presidente dei Riformatori liberali (i radicali passati in Forza Italia) Benedetto Della Vedova hanno ricordato che si tratta «di un successo di tutto il Paese e non solo dell’attuale governo».

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