Storie di estremisti: ecco Pisapia e Boeri negli anni di piombo

Entrambi processati, uno assolto e l’altro prescritto. Il capolista del Pd ammette: "Un’epoca di follia totale". Ma il candidato sindaco tace. I due militavano in formazioni di estrema sinistra ferocemente contrapposte

Storie di estremisti:  
ecco Pisapia e Boeri  
negli anni di piombo

Milano - Uno ammette di avere vissuto un’epoca di «follia totale», dove l’aggressione all’avversario era prassi costante. L’altro invece nega qualunque contaminazione, anche in quegli anni remoti, con la violenza politica. Non è facile, raccontare e spiegare le vite parallele di Stefano Boeri e Giuliano Pisapia a chi non ha vissuto l’ubriacatura degli anni Settanta a Milano. Oggi Boeri e Pisapia - dopo essersi scontrati nelle primarie del Pd - sono alleati nella corsa a Palazzo Marino, il primo come capolista, il secondo come candidato sindaco.

Ma a entrambi è toccato, nel corso di questa campagna elettorale, fare i conti con il loro passato, con i comportamenti di oltre trent’anni fa, quando entrambi militavano nell’ultrasinistra milanese: ma su sponde opposte, e anzi ferocemente contrapposte. Entrambi in quegli anni finirono sotto processo. Le vicende che li portarono davanti alla giustizia sono, per più di un verso, singolarmente intrecciate. Eppure le risposte che i due, il grande architetto e il celebre avvocato, hanno dato su quegli anni in questa campagna elettorale sono, a leggerle con attenzione, assai diverse.
Stefano Boeri militava nel Movimento studentesco: la componente più smaccatamente stalinista della nouvelle gauche. Pisapia, sei anni più vecchio, navigava nei gruppi nati dalla dissoluzione di Lotta Continua. I due fronti se le davano di santa ragione. Fino a quando il servizio d’ordine dell’Ms ridusse in sedia a rotelle un pittore di murales, Fausto Pagliano, accusato di essere vicino a Lc. È per vendicare Pagliano, raccontano i «pentiti», che nel settembre 1977 nasce il progetto per cui finirà inquisito, arrestato e assolto Pisapia: rapire, riempire di botte, incatramare e impiumare William Sisti, capo del servizio d’ordine dell’Ms, i famosi «katanga». Il progetto abortisce perché un ex di Lotta Continua incaricato di rubare il furgone viene arrestato in flagrante dai vigili urbani.

Curiosamente, il nome di William Sisti - che poi diverrà un dirigente del Psi milanese - ricorre anche nel processo a carico di Stefano Boeri. Boeri viene accusato di avere fatto parte del gruppo di militanti dell’Ms che nell’aprile 1975 in piazza Cavour aggredisce il neofascista Antonio Braggion, che reagisce sparando e uccidendo il diciassettenne Claudio Varalli. Nel processo in Corte d’assise, Boeri viene prosciolto per prescrizione: ma la sentenza dice che «l’aggressione del gruppo dei giovani fu improvvisa, rapidissima, premeditata, violentissima». A differenza di quanto farà nel suo processo Pisapia (che ricorrerà in appello, chiedendo e ottenendo l’assoluzione piena) il futuro architetto si accontenta della prescrizione. Negli atti del processo, compare il nome del dirigente del servizio d’ordine che guidava quel giorno i ragazzi dell’Ms: William Sisti, lo stesso che l’anno dopo gli ex di Lotta continua cercarono di rapire.

Lo scorso 8 settembre, Stefano Boeri racconta - in una intervista al Giornale - la sua verità sull’aggressione a Braggion. Dice che l’aggressione al neofascista «andò essenzialmente come dice la sentenza». Punta il dito contro i dirigenti del servizio d’ordine dell’Ms, anche senza fare il nome di Sisti: «La decisione dei nostri capi fu quella di andare all’attacco». Ma poi aggiunge: «La morte di Varalli mi fece capire la follia totale di quello che accadeva. La verità è che c’era un abisso tra le nostre illusioni e la realtà che ci circondava».

Sono storie ingiallite dal tempo, e la furibonda violenza intestina, i regolamenti di conti tra diverse fazioni che laceravano l’ultrasinistra milanese di quegli anni sono forse impervie da capire per chi quegli anni ha avuto la fortuna di non viverli.

Ma le carte di entrambi i processi, quello a Boeri e quello a Pisapia, raccontano bene come nell’ultrasinistra di quegli anni la divisione ideologica producesse odio senza quartiere, come non ci fossero steccati che separassero la politica dalla violenza, come la deriva terrorista sia nata a ridosso di quei furori: negare di avere incrociato quei percorsi è, per usare un termine in voga allora, antistorico. «Se si vuole ragionare su quegli anni, ben venga una riflessione comune», dice ora Boeri. Un auspicio al quale, almeno finora, Pisapia non si è accomunato.

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