Strage di Bologna quel filo rosso che legava i Ds al Kgb

Un saggio esplosivo rivela i depistaggi "istituzionali" sulla strage di Bologna. E spunta il prof sinistro De Lutiis

Strage di Bologna quel filo rosso  che legava i Ds al Kgb

Spioni, doppiogiochisti, cordate di potere hanno offuscato prove, inquinato indizi e cancellato tracce sulla vera matrice della strage di Bologna. Hanno tramato e depistato: a sinistra. Il riscontro è in un saggio di Salvatore Sechi, docente di Studi storici, per Nuova storia contemporanea, che demolisce trent’anni di omissioni e insufficienze investigative e getta una luce sinistra su pm bolognesi e politici Ds ciechi alle evidenze della pista internazionale sulla bomba del 2 agosto 1980.

Tutto ruota attorno alla figura di Thomas Kram, fedelissimo del superterrorista Ilich Ramirez Sanchez (alias, «Carlos» lo sciacallo) e al Fronte popolare di liberazione della Palestina, protagonisti della pista mai seguita dai pm bolognesi «nonostante i riscontri accumulati negli anni» che avrebbero dovuto insospettire i nostri inquirenti». Solo oggi, infatti, Kram si trova finalmente sott’inchiesta a Bologna nonostante un dispaccio della polizia tedesca dell’epoca rivelasse che «il 1º agosto 1980 era stato fermato e perquisito dalla polizia di frontiera di Chiasso» e che «nella stessa data aveva preso alloggio presso l’Hotel Centrale di Bologna». Un rapporto del 1995 degli 007 di Francia e Germania lo piazzava al «sesto posto della scala gerarchica» della rete Separat di Carlos che, al Messaggero, confermò la presenza di un suo uomo nella stazione di Bologna.

Una pista che resta però inesplorata nonostante i dispacci della Digos che già nel 1980 accostava Kram e le sue «cellule rivoluzionarie tedesche» per la strage e la dettagliata segnalazione dell’allora capo della polizia, Gianni De Gennaro, sulla pericolosità di Kram. Sechi è lapidario: «Anche tra i giudici la verità politica (la decisione, sin dal primo momento della strage, di guardare a destra) ha prevalso sulla verità che emerge dai documenti». Dubbio già emerso allorquando venne fuori che l’avvocato Fabio Montorsi, ex iscritto comunista, lasciava il collegio di parte civile accusando alcuni giudici bolognesi di aver tenuto riunioni con funzionari del Pci per decidere la strategia processuale».

L’allora pm Libero Mancuso, diventato membro della Mitrokhin, definirà «un’invenzione la pista Carlos».
Il link con la rete di Carlos (e di Kram) è Abu Aureh Saleh arrestato nel gennaio 1980. Per ottenerne la liberazione, i palestinesi minacciano «ritorsioni» e attentati a un «aereo di linea». L’ultimatum è del «15 maggio 1980»: tra giugno e agosto le bombe del Dc9 Itavia e di Bologna, la città dove Saleh viveva da tempo. A rendere ancor più inquinati i pozzi, racconta Sechi, ci pensano i 17 parlamentari di centrosinistra che si dimenticano di Kram firmando la relazione di minoranza sul dossier Mitrokhin: «Da un documento di un organo statale tedesco si recide, con una rasoiata, l’ultima parte per assumerlo come prova di un’affermazione macroscopicamente non vera, cioè che Kram non avrebbe mai fatto parte delle rete di Carlos». Più che un’omissione, un falso, attuato «con uso distorto delle fonti» come riscontrato da Sechi avendo fra le mani il documento tedesco recuperato in originale a Berlino.

Il depistaggio si concretizza nell’orario di arrivo di Kram in Italia la mattina del 1º agosto 1980. «I parlamentari hanno invertito gli orari dei passaggi dei treni (con cui Kram era arrivato dalla Germania e ripartito per Milano), e i luoghi (Chiasso e Milano). Il risultato è stato di rendere indeterminata la durata della perquisizione subita da Kram al posto di frontiera di Chiasso». Un assist che il terrorista sfrutta «per sostenere la casualità della sua sosta a Bologna nella notte tra il 1º e il 2 agosto».

Secondo Sechi, il bombarolo tedesco ha probabilmente goduto «di informazioni di prima mano da parte di compagni (o solo persone) che conoscevano le versioni di tali episodi affidate agli atti parlamentari». Un problema che lo storico conosce bene: «Ho scoperto, leggendo alcune carte, che uno dei membri della commissione era sospetto di legami con qualche servizio straniero. Da un’informativa secretata è uscito fuori il nome del professor De Lutiis, noto esperto di servizi segreti. Solo per aver sollevato il problema, senza fare nomi, sono stato querelato dal Ds Bielli».

A quel punto, chiosa Sechi, ho mandato l’ex membro della commissione, Enzo Raisi (Fli) a controllare le carte a San Macuto, e mi ha detto che effettivamente esiste un rapporto della Gdf che cita De Lutiis». L’onorevole Raisi, contattato dal Giornale, conferma.

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