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Strage Erba, giorno del giudizio Sentenza o riapertura del caso

Oggi la Corte d'Appello decide se confermare l'ergastolo per i due imputati, Rosa e Olindo Bazzi, oppure riaprire il dibattimento: la difesa punta all'inattendibilità del supertestimone. Due conversazioni del superteste potrebbero scagionare i due coniugi: ASCOLTA 

Strage Erba, giorno del giudizio 
Sentenza o riapertura del caso

Verbali che spuntano dai cassetti, foto che smentiscono deposizioni in aula, trascrizioni considerate «irrilevanti» che svelano retroscena inediti. Quando la Corte si riunirà oggi a Milano in camera di consiglio dovrà decidere se confermare l’ergastolo per la strage di Erba a Olindo Romano e Rosa Bazzi o riaprire il dibattimento e valutare la perizia psichiatrica per la coppia, a dire dei legali «suggestionata» e indotta a confessare e soprattutto le nuove prove che dimostrerebbero l’inattendibilità di Mario Frigerio. C’è un nastro che lo smentisce.

Le prove in mano all’accusa sono tre: le confessioni, la macchia di sangue nell’auto e il famoso riconoscimento. Per gli avvocati della difesa il 15 dicembre 2006, quattro giorni dopo la mattanza di via Diaz, stando ai verbali, Frigerio non pronuncia mai il nome di Olindo: descrive un aggressore «mai visto prima, di etnia araba, 10 cm più alto di lui e di carnagione olivastra». Nel fax inviato il giorno dopo alla Procura dal suo legale, Manuel Gabrielli, il nome Olindo non compare mai. Né sarà Frigerio, qualche giorno dopo, a fare il nome del bianco e ben noto vicino di casa. Mentre la Procura scandagliava la vita privata di Raffaella Castagna e Azouz Marzouk alla ricerca di una possibile pista familiare - suffragata dall’alibi claudicante di uno dei fratelli della donna, visto all’ora della strage nei pressi di via Diaz da un amico tunisino di Azouz - a chiedere con insistenza di Olindo a Frigerio, come da verbale, sarà il maresciallo dei carabinieri di Erba Luciano Gallorini, il primo (per sua ammissione) a puntare sulla lite condominiale come unico movente possibile. «Può essere stato l’Olindo?». Un’insistenza che farà infuriare i magistrati quando Frigerio, il 26 dicembre, si dirà convinto che ad aggredirlo sia stato Olindo. «Non si faccia condizionare dai carabinieri - diranno i magistrati di Como a Frigerio, intercettato mentre è in ospedale - loro fanno il loro lavoro, noi il nostro». Come a dire, loro seguono quella pista, noi un’altra, tant’è vero che chiederanno la perizia psichiatrica per Frigerio. Tra la conversazione tra Frigerio e Gallorini del 20 dicembre e la deposizione dai pm del 26, come anticipato ieri dal settimanale Oggi, il 22 e il 24 dicembre Frigerio dirà ai figli e al suo legale di non ricordare niente di più rispetto a quanto detto agli inquirenti il 15 dicembre. Su Olindo non c’è niente, «io non so un ca...».

Le inedite conversazioni, derubricate dai pm come «irrilevanti» e disponibili da ieri sul sito del Giornale, confermano. Olindo non compare mai. Persino il suo legale Gabrielli dopo l’udienza preliminare aveva ammesso: «Quel riconoscimento è controverso».
A incastrare Olindo, prima delle confessioni, sarà la minuscola macchia di sangue con il Dna di una delle vittime trovata sul battitacco della Seat Arosa. Macchia trovata due settimane dopo la mattanza della quale, però, non esistono foto. La perquisizione della Seat è oggetto di un giallo dai contorni ancor più indefiniti: uno dei carabinieri dirà più volte in aula di aver ispezionato la vettura da solo, ma c’è una foto dove si vede una persona con il luminol in mano che lo sbugiarda, pubblicata da Oggi qualche settimana fa.

Erano almeno in due, ma perché mentire e rischiare di invalidare tutto? Sull’auto pende anche il giallo della prima perquisizione, la notte dell’11 dicembre. Sul verbale ci sono 5 firme, tra cui quella dell’agente Vito Rochira, uno dei primi a entrare sulla scena del delitto. La possibile contaminazione involontaria è stata esclusa dalle dichiarazioni in aula dello stesso Gallorini, che ha detto sostanzialmente: la perquisizione l’ha fatta un agente che a verbale non compare. Strano.

Poi c’è il capitolo confessioni, per i legali della coppia «indotte» dai carabinieri per avere degli sconti di pena. Il loro racconto è speculare, perché a Rosa è stata fatta ascoltare la confessione di Olindo come si legge nel verbale del secondo interrogatorio di Rosa. Ed è suffragato dalle foto della strage che sono state mostrate loro durante le deposizioni (è Rosa ad ammetterlo, e il pm Astori a confermarlo in un verbale del 6 giugno 2007).

Ma il racconto non torna con le prove scientifiche raccolte dai Ris, che raccontano una dinamica completamente diversa da quella descritta dalla coppia: un «non so, non ricordo» ogni 30 secondi, Rosa che dice di aver aggredito Frigerio, la luce accesa e l’arrivo con 20 minuti di ritardo di due delle vittime. Il dossier dei Ris, depositato solo alla vigilia dell’udienza preliminare, registra l’assenza di sangue delle vittime nell’appartamento dove i Romano si sarebbero cambiati d’abito per fuggire senza essere visti prima delle 20.23. Ora in cui i soccorritori arrivano e sentono le urla di Valeria Cherubini, trovata a casa sua con la gola tagliata davanti a una tenda ricoperta di macchie che per i Ris sono «da schizzo». Come se l’ultimo omicidio si fosse consumato lì e non sulle scale come diranno i due.

Poi c’è il giallo sulla Panda usata dai familiari per arrivare in via Diaz alle 22.30, che non è mai stata ispezionata. C’è un guanto di lattice con all’esterno il Dna di Youssef Marzouk che solo mesi dopo il padre di Raffaella, Carlo, riconoscerà provenire da uno dei suoi cantieri.

Ci sono infine i dubbi di Azouz, ai cui genitori un tunisino, alla vigilia della sentenza di primo grado, avrebbe detto: «Quei due non c’entrano nulla con la strage». Se non loro, chi?

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