La strategia di Coin per Upim: rinasce l’«emporio» di città

Con l’acquisizione di Upim, Gruppo Coin diventa la più grande catena di abbigliamento italiana, con un fatturato complessivo che entro tre anni raggiungerà i 2 miliardi di euro. Alla vigilia del closing dell’operazione, l’amministratore delegato Stefano Beraldo ha illustrato i piani per il nuovo gruppo, che comprendono l’integrazione e la trasformazione di buona parte dei negozi acquisiti, oltre a un drastico taglio di costi che permetta a Upim di riportare i conti in attivo: il bilancio 2009 si è chiuso con 43 milioni di perdita e 150 milioni di debiti. L’operazione è stata possibile anche grazie allo «sconto» accettato dalle banche, che hanno rinunciato al 30% del proprio credito. Sono in corso trattative per ottenere un’analoga riduzione anche da parte degli altri creditori. La cura di Beraldo per Upim passerà anche attraverso la chiusura della sede e il rinnovo del contratto di lavoro per i tremila dipendenti, che oggi è più oneroso di quello dei 7mila del gruppo Coin (che comprende anche Oviesse). Non sono previsti effetti negativi sull’occupazione, al massimo trasferimenti a Venezia, sede del gruppo. Sono in corso incontri con i sindacati «dai quali spero di ottenere collaborazione. Ma la vecchia proprietà aveva dichiarato ai lavoratori che Upim godeva di buona salute»).
Dei 149 negozi diretti con insegna Upim, 50-60 passeranno all’insegna Ovs Industry, 10-20 a Coin, mentre 60-70 non saranno convertiti; manterranno l’insegna Upim anche i 250 negozi in franchising. In tutto, dunque, la «nuova» catena Upim sarà costituita da circa 320 magazzini (l’intero gruppo Coin ne conterà 900) «popolari, moderni, freschi e in centro città» ha sottolineato Beraldo, che li ha descritti come degli «shopping mall di città», degli empori dove trovare in fretta («come su Google») le cose utili di ogni giorno, con una merceologia varia e trasversale alle esigenze («dagli occhiali all’asciugacapelli, dalle scarpe al caffè»). Poiché una delle cause della crisi di Upim sono stati anche i costi degli affitti («i proprietari dei muri erano gli stessi proprietari della catena» ha rilevato Beraldo sollevando il sospetto di canoni gonfiati), anche i contratti di locazione saranno rinegoziati.
I vecchi azionisti (gli stessi della Rinascente: Investitori associati, Pirelli Re, Deutsche Bank e famiglia Borletti) avranno una quota del 7,4% in Gruppo Coin (la società quotata), nella quale, con un versamento di 39 milioni, fanno ingresso lo stesso ad e altri manager, per un 2% complessivo.

La maggioranza resta alla finanziaria Carpaccio, per il 55% del fondo francese Pai e per il 45% alle famiglie di Giorgio e Vittorio Coin, che non esercitano poteri di gestione, fatta salva la rappresentanza con tre membri su 9 nel cda di Gruppo Coin.
Ieri sono stati anche annunciati per il 2009 «i migliori risultati della storia del gruppo», cui la Borsa ha reagito con un progresso dell’8,5%.

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