Uno strumento per risolvere le controversie

RomaChe fosse in dirittura d’arrivo un provvedimento sul lavoro, gli italiani lo hanno scoperto i primi di marzo, quando Repubblica portò agli onori delle cronache cosa ne pensavano la Cgil e alcuni giuslavoristi, gli esponenti del Pd Tiziano Treu e Pietro Ichino: «Licenziamenti, arriva la legge per aggirare l’articolo 18». Che Giorgio Napolitano avesse l’intenzione di bocciare il collegato alla Finanziaria in tema di lavoro, si è saputo sempre dal quotidiano romano che diede conto delle indiscrezioni, poi smentite dal Quirinale, con una nota dalla quale emergeva l’irritazione per la strumentalizzazione. Se non ci fosse stata l’attenzione della stampa della sinistra, e un successivo sciopero generale della Cgil, il provvedimento sarebbe passato inosservato, vista la natura tecnica della gran parte dei temi che affronta e l’accordo successivo con le parti sociali.
La principale novità consiste nel rafforzamento dell’arbitrato nelle controversie di lavoro. L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori - quello che prevede il reintegro dei lavoratori licenziati senza giusta causa, in difesa del quale Sergio Cofferati portò tre milioni di militanti Cgil in piazza - non viene toccato nemmeno formalmente. La riforma riguarda la parte del codice di procedura civile sulla conciliazione, prevedendo, in caso di accordo preventivo tra lavoratore e datore, il ricorso all’arbitrato. L’attenzione si è concentrata sul fatto che si consente alle parti di firmare «clausole compromissorie». La polemica riguarda il rischio che si imponga a un neoassunto la rinuncia al ricorso ai giudici in caso di licenziamento.
Su questo il Quirinale ha sollevato le sue osservazioni più pesanti. Giusto l’arbitrato, secondo Giorgio Napolitano, ma deve essere sempre volontario e quindi non ci deve essere l’accordo sull’arbitrato, in sede di firma del contratto quando il lavoratore è nella condizione di «massima debolezza».
Nel provvedimento la clausola era rimasta, anche se tutta la materia è rinviata alla contrattazione collettiva. Se i sindacati non sono d’accordo, quindi, non se ne parla. Cisl, Uil, Confindustria e governo (contraria la sola Cgil), avevano poi sottoscritto un avviso comune che restringe ancora di più il ricorso agli arbitri e lo esclude in caso di licenziamento. Il Quirinale ha chiesto di prevedere questa garanzia da subito nella legge e non aspettare i decreti attuativi. E il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, si è detto disponibile a inserire da subito le modifiche, recependo l’avviso comune siglato dalle associazioni dei lavoratori e dei datori e rafforzando il ruolo delle parti sociali. Confindustria e gli altri sindacati firmatari (è arrivato anche il sì di Legacoop) ieri hanno difeso il ricorso all’arbitrato. La Cgil, che aveva organizzato uno sciopero contro la legge e ha accolto la decisione di Napolitano come una vittoria, è andata all’attacco. Il segretario generale Guglielmo Epifani ha poi bocciato l’intesa raggiunta dagli altri sindacati bocciandola come «intempestiva». Il leader della Cgil, avrebbe preferito che la legge fosse arrivata al Quirinale senza un accordo tra le parti sociali e il governo.

Una partita politica, quella della Cgil, caduta peraltro in giorni molto difficili per il Quirinale; quando Giorgio Napolitano era sotto il tiro della sinistra radicale contro il «decreto salva liste». Epifani si espresse contro il decreto approvato da Napolitano, non attaccò il capo dello Stato e disse di pensarla come lui.

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