Roma

Lo studente troppo veloce non piace ai magistrati

Si laurea in 3 anni invece che in 4 Per un decreto del ’39 titolo annullato e nessun risarcimento

Stefania Scarpa

Sgobbare sui libri per laurearsi prima del tempo? Inutile. A quanto pare, per i giudici, non c’è motivo di faticare troppo per conseguire l’agognato titolo prima dei tempi fissati dalla legge. C’è un regio decreto del 1938 che stabilisce la durata standard dei vari corsi di laurea. Accelerare i tempi non serve, anzi, può essere controproducente, se poi la laurea ti viene annullata, come è accaduto all’ormai avvocato Giacinto Canzona nel 1996, e se poi, a distanza di anni, un Tribunale, in questo caso una Corte d’appello, ti nega il risarcimento per i danni subiti dall’annullamento della laurea in Giurisprudenza conseguita in tre anni anziché nei canonici quattro.
È stata la prima sezione della Corte d’appello di Roma, che ha avallato la decisione del Tribunale, a respingere la richiesta di indennizzo presentata dagli avvocati di Canzona, Tiziana Troiani e Chiara Zampaletta. Nella sentenza si legge che l’università La Sapienza ha legittimamente annullato l’esame di laurea in quanto non vi è ragione perché uno studente debba conseguire il titolo in meno di quattro anni. All’origine della decisione, la legge del 1938 che stabilisce in quattro anni la durata del corso per diventare avvocato. Una legge dettata in base «ai principi didattici della materia, che consente allo studente, nonché al personale docente, di completare i programmi nella maniera più consona alla generalità degli allievi». «In altri termini - spiegano i legali di Canzona - se uno studente ha una capacità di apprendimento più rapida del livello di apprendimento dello studente medio deve vedere castrate le proprie potenzialità in ragione dei tempi di apprendimento standard fissati per legge».
Nel 1996 Giacinto Canzona, dopo aver finito gli esami in tre anni, si laurea e chiede di essere iscritto all’Ordine degli avvocati. Tanta solerzia, però, non piace al Senato accademico, che gli annulla la laurea, nonostante nel frattempo il neoavvocato avesse cominciato la pratica forense. Canzona non si perde d’animo, fa ricorso al Tar e, per non rimanere con un pugno di mosche in mano, a giugno, trascorsi i quattro anni, consegue nuovamente la laurea. Nel ’98 i giudici amministrativi gli danno ragione, superando la legge del 1938: il suo primo titolo è valido. Vicenda conclusa? Niente affatto, perché l’avvocatura dello Stato fa ricorso al Consiglio di Stato. Nel 2000 arriva la sentenza, che ribalta quella del Tar, dando ragione all’Università. Nel frattempo il giovane Canzona prosegue la pratica, fa e passa gli esami per diventare avvocato, comincia a esercitare la professione. Un paradosso, visto che tutto ciò avviene sulla base del primo titolo di laurea. Non contento il legale chiede all’università il risarcimento dei danni subiti nei sei mesi di «inattività» tra le due lauree, che di fatto gli hanno impedito di partecipare ai concorsi.

Ora l’ennesimo schiaffo: nessun risarcimento.

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