Stuprò una giovane egiziana Marocchino finisce in carcere

Una piccola bugia la vittima l’aveva detta: quel 31 gennaio non era stata costretta a salire sull’auto del suo stupratore, ma spontaneamente, accettando un suo passaggio verso casa. Ha mentito perché si vergognava della grossolana ingenuità. Per il resto tutto vero: la violenza, la rapina, l’abbandono in aperta campagna. Tutto ricostruito con una precisione di dettagli che hanno consentito l’arresto del bruto, scovato con i monili strappati alla giovane, prova del suo delitto.
L’aggressione inizia verso le 18 in Roserio, non lontano dall’ospedale Sacco, dove la giovane, una italo-egiziana di 24 anni, venne fermata per strada da Ahmed Laabi, marocchino di 38 anni, operaio, regolare in Italia. L’uomo si fa coraggio vedendo una ragazza dai tratti arabi come i suoi e inizia a «tampinarla». Inizialmente lei lo allontana, poi ingenuamente accetta il passaggio sulla sua Panda furgonata color sabbia.
Il nordafricano parte deciso e dopo un poco la sua passeggera capisce che non la sta accompagnando a casa e soprattutto che le sue intenzioni sono assai poco rassicuranti. Cerca di aprire la porta, ma la serratura è scassata e lei rimane prigioniera del maniaco fino al loro arrivo nelle campagne di Garbagnate. Qui il marocchino la fa scendere a forza, la butta giù da una scarpata e, minacciandola con un coltello, la violenta, le strappa cellulare, la borsa contenente qualche centinaio di euro anelli e orecchini. Quindi la fuga. La giovane risale la china, ferma una automobilista, si fa portare prima al Sacco poi al Centro antiviolenza della Mangiagalli che fa rimbalzare l’allarme alla squadra mobile. La giovane dopo alcune indecisioni racconta tutto per filo e per segno, descrive la vettura con una certa precisione, in particolare alcune bozze sulla carrozzeria, e fa partire la caccia.
Il bruto accende anche il cellulare della vittima, che aggancia una cella non lontano da dove ha incontrato la ragazza. Facendo intensificare le ricerche in zona, fino a quando la Panda, intestata alla ditta per cui lavora, viene individuata, «presidiata» fino a quando arriva il marocchino che verrà poi arrestato l8 febbraio nella sua abitazione di via Bovisasca. Tutti i particolari combaciano: dai monili della ragazza trovati nella sua fino al meccanico che ricorda di aver riparato la famosa serratura rotta della portiera lato passeggero.


Il marocchino viene portato in questura e fatto vedere alla vittima che lo riconosce senza ombra di dubbio. Lui si chiude in un ostinato mutismo, una scelta che non gli evita però il trasferimento al carcere di San Vittore con accuse pesantissime: oltre alla violenza sessuale c’è anche la rapina a mano armata.

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