Su «Paradoxa» il paradosso del Sessantotto

Paradoxa, rivista trimestrale il cui direttore è Vittorio Mathieu, dedica il suo ultimo numero al '68. Introduzione e primo capitolo sono scritti da Dino Cofrancesco, e poi ci sono Marcello Veneziani, Corrado Ocone e Maurizio Griffo, tutti con una lettura eterodossa di quegli anni, molto poco mitici. Ma decisamente mitizzati. Scrive Ocone: «Come aveva ben colto, tra gli altri, Nicola Matteucci, lungi dall'essere l'avanguardia di un glorioso avvenire, il Sessantotto è un movimento che porta alla luce umori e idee che avevano accompagnato la ventennale storia della Repubblica: primo tra tutti il mito di una Resistenza incompiuta e di una rivoluzione tradita». Oggi sembrano passati anni luce da questa follia intellettualistica, ma all'epoca in realtà le cose erano ben diverse. E bene fa Paradoxa a puntare molto su questa interpretazione.

Dino Cofrancesco è ancora più diretto: «il '68 e la resistenza, a ben guardare, sono dei miti: movimenti occasionati da contingenze e da stati di animo non facilmente assimilabili, che tuttavia vengono letti retrospettivamente come momenti di un processo unitario. Un brodo della cultura post-azionista che tende a fondere i due eventi per renderli patrimonio condiviso da tutti». Possiamo accettare l'idea di una resistenza, come reazione, al fascismo più che come organizzazione partigiana: ma è difficile raccontare il sessantotto come reazione al miracolo italiano, che in quegli anni si stava appunto concludendo. Ha buon gioco dunque Veneziani a scrivere che «il '68 non è un movimento anti borghese: avendo spazzato via gli ultimi ostacoli che si opponevano al trionfo della modernizzazione, è in realtà una rivoluzione tutta interna alla borghesia. Lo stesso antifascismo sessantottino che si pone in continuità con la resistenza, non è che una delle tante vie con cui il movimento ha preparato l'avvento dell'era globale».

Nella sua introduzione Cofrancesco nota: «È difficile dire se quanto viene attribuito in positivo al '68 anche da molti suoi critici - l'antiautoritarismo, la liberazione della donna, lo svecchiamento dei programmi scolastici, la fine dei tabù sessuali, i diritti dei lavoratori, la libertà come partecipazione etc.

- fosse già nell'aria e la rivolta studentesca si limitasse sostanzialmente a far da levatrice della storia - per citare la nota metafora marxiana - o se le rivolte dei campus e delle Università fossero i fattori decisivi del rinnovamento radicale maturato sulle due rive dell'Atlantico». Una lettura consigliata per ragionare, senza celebrare, un pezzo della nostra recente storia.

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