Con la sua chitarra visionaria cerca Atlantide a Los Angeles

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Antonio Lodetti

da Milano

Ry Cooder, il viaggiatore di suoni, parte per una nuova, affascinante avventura. Icona del rock di qualità, Cooder è diventato familiare al grande pubblico con Buena Vista Social Club di Wim Wenders.
Ora Cooder, nel suo nuovo viaggio alle radici della cultura popolare, va alla ricerca di un’Atlantide perduta nel cuore di Los Angeles. Il suo nuovo album Chàvez Ravine (in uscita i primi di giugno e frutto di tre anni di lavoro) è un tuffo musical-antropologico nella «gola di Ravine», la zona povera, il barrio ispanico di Los Angeles spazzato via (con il suo folklore e la sua varia umanità: dalla ribelle Lola Fernandez all’esperto in serenate Juan Alvarado) dai bulldozer alla fine degli anni ’50 e rimpiazzato dallo stadio di baseball dei Dodgers. Una vicenda drammatica, che rivive, come in un musical, attraverso personaggi veri e inventati e soprattutto attraverso i ritmi più amati da Cooder. Un ritratto sonoro della California in bianco e nero dove le radici latine s’intrecciano con quelle tex mex, quelle blues s’attorcigliano attorno al melodismo pop e il mambo incontra il jazz, i suoni etnici cinesi e hawaiani e persino un pizzico di elettronica. «È la musica di un luogo che non conoscete, in cima ad una strada che non potrete mai percorrere, là dove i marciapiedi finiscono», dice Cooder. Chicken Skin Music, del ’76, era uno dei suoi capolavori «messicani»; ma questo lavoro è completamente diverso, uno splendido miscuglio di atmosfere antiche e moderne. Al centro c’è il fluido gioco chitarristico di Cooder, arricchito ora dagli accenti contadini del patriarca della musica chicana Lalo Guerrero ora dal pianoforte latin-jazz di Chucho Valdés, ora dal re del «boogie pachuco» Don Tosti (morto pochi giorni dopo la fine delle incisioni) ora dalle chitarre di David Hidalgo (dei Los Lobos)e di Flaco Jimenez. Uno sguardo intenso al passato per trovare nuovi stimoli creativi e soprattutto per non dimenticare. «La musica è un testimone importante di ciò che non abbiamo visto o vissuto - commenta Cooder -; oggi Los Angeles, in armonia con la sua ricchezza e concentrazione di potere, è piena di cemento e centri commerciali. Ma ci sono cose che mi mancano molto. Ad esempio la trama di certi vecchi quartieri come Chàvez Ravine, testimoni con il timbro della loro vita, la pace e la quiete del sentimento contadino in un contesto urbano». Una musica raffinata e al tempo stesso impetuosa, ricca di malinconica ebbrezza che è soprattutto una dichiarazione d’amore per i perdenti. Non la riscoperta di anziani artisti ma il ricordo di un mondo che ha fatto della musica la colonna sonora della sua vita quotidiana. Ovunque, nella povertà, si ballava e si cantavano brani della guerra ispanoamericana come Santianna.

«È un disco duro ma romantico. Da ragazzo adoravo attraversare Los Angeles finendo spesso in mondi che sembravano essersi fermati all’inizio del Novecento. Lì le ruspe hanno distrutto le case in nome di quello che allora chiamavano progresso».

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