Nel 1932 il ventiseienne Klaus Mann, secondogenito di Thomas e Katia, pubblicò la sua prima autobiografia, Figlio di questo tempo. L'anno dopo partì per un esilio da cui non sarebbe più tornato. Figlio di questo tempo è dunque il primo tempo della sua difficile, anzi proibitiva partita con (e contro) la vita. Il secondo tempo lo giocherà fra Amsterdam, la Cecoslovacchia, gli Stati Uniti e infine Cannes, dove morì suicida il 21 maggio 1949, sette anni dopo aver dato alle stampe la sua seconda autobiografia, La svolta, scritta in inglese. Ma nel 1932 Klaus pubblicò un'altra autobiografia: l'autobiografia della sua generazione. Si intitola Punto d'incontro all'infinito e la propone Castelvecchi per la prima volta in italiano (pagg. 241, euro 20, traduzione e prefazione di Massimo Ferraris). Del resto, i due principali personaggi di questo romanzo, Sebastian e Sonja (sono loro quelli destinati a incontrarsi all'infinito, come tutte le rette parallele...), di Klaus sono coetanei. E in loro riconosciamo chiaramente i tratti dello stesso Klaus e dell'amatissima sorella Erika.
Tuttavia, la figura che nel libro meglio di ogni altra ci dà lo spirito del tempo, ovvero degli ultimi, ultimissimi passi compiuti dal Novecento prima di precipitare nel baratro del nazismo e della Seconda guerra mondiale, è quella del dottor Massis. Mefistofelico, faustiano, culturalmente e politicamente trasformista, fisicamente inquietante con quel volto «mezzo francese e mezzo unno» (alcuni suoi conoscenti chiamano il suo studio «il gabinetto del dottor Caligari», citando il plumbeo capolavoro del cinema espressionista tedesco), Massis, che è anche un abile ammaliatore e plagiatore, passa con disinvoltura dall'esaltazione del marxismo all'elogio della teologia, dalla Cabala ai Fiori del male, da Gilles de Rais alla sociologia, dalla psichiatria alla fascinazione e poi al disprezzo per i giovani rampanti. E nel bel mezzo di una delle sue filippiche da «ricercatore indipendente» butta lì una profezia poi avveratasi: «Così, poiché fra quindici anni al massimo - quando la Russia avrà realizzato il suo piano quindicennale - avremo la nuova guerra mondiale...».
Infatti, il periodo della narrazione sono gli anni Trenta. Ce lo dice la prima riga: «Berlino, 6 ottobre 193..., alla stazione dello zoo». Una riga che ci suggerisce anche quanto della forma teatrale tanto cara a Klaus e ad Erika ci sia, in questa descrizione quasi geometrica e spiraliforme degli eventi e della loro successione. Siamo dunque a Berlino, mentre qualcuno sta partendo e qualcuno sta arrivando. A partire è Sebastian, inquieto scrittore, mentre ad arrivare, da Monaco di Baviera, è Sonja, brillante attrice. È in quella mattina del 6 ottobre che le loro rette cominciano a viaggiare parallelamente, e oltretutto in direzioni opposte. Sebastian lascia Berlino per Parigi, dove è quasi di casa. Sonja vi giunge su invito del suo... quasi fidanzato Gregor Gregori, ballerino e coreografo, che Sebastian conosce bene o, per meglio dire, che considera quasi un ex amico...
Come in Proust la «parte dei Guermantes» e la «parte di Meséglise» paiono due mondi separati, salvo poi scoprire che esiste un sentiero che le collega, così nel romanzo di Klaus Mann la parte di Sebastian, con su tutti la quasi fidanzata Do e la signora Grete che è l'unica a trattare Massis come merita, e la parte di Sonja, con su tutti l'intima amica Froschele e, appunto, Gregor Gregori, avranno modo di dialogare a distanza. Più variegato e gaudente, di stampo espressionista, dedito ai piaceri anche psichedelici e propenso a cooptare nuovi elementi è il ramo berlinese. Più ristretto e meditativo, di stampo esistenzialista, bohémien e letterario è il ramo parigino. Ma su entrambi soffia il vento mefitico portato dal sole nero hitleriano...
Per tutti, comunque, vale ciò che dice il Narratore a proposito del ballerino e figlio di papà Bob Mardorf che tenta di agganciare Sonja: «Là dove il teatro dà appuntamento agli affari esteri, la haute finance alla letteratura rivoluzionaria, il cinema sonoro all'alta politica e all'antica aristocrazia, nemmeno il demi-monde può mancare, a condizione di portare un nome socialmente accettabile». Il mood è questo, a Berlino come a Parigi: il divertimento va a braccetto con il cupio dissolvi, e gli atteggiamenti da intellettuale libero flirtano con le previsioni sugli imminenti scenari geopolitici, come per una vecchia conoscenza di Sebastian, Sylvester Marschalk, il quale pure si dice anti-tedesco: «Gli Stati europei, Francia, Inghilterra, Germania, Polonia, Ungheria, Spagna e Italia, troveranno nel Giappone - il cavalleresco Giappone - un potente alleato. Anche i popoli di colore di buona razza si uniranno a noi, se non altro per odio verso gli Stati Uniti, dove hanno sofferto così tanto - e con noi si schiererà, ben distinta, la razza pura, libera e altera, contro quella torbida, mista e amorfa».
Intanto, in uno scenario che contempla doppi e forse tripli amori, incidenti mortali, suicidi, tetre serate obnubilate dalla morfina e qualche banale sogno di gloria, le rette parallele di Sebastian e Sonja proseguono imperterrite a ignorarsi. Saranno le loro coincidenti fughe da Parigi e da Berlino ad avvicinarle all'appuntamento con il destino nel regno impalpabile dell'infinito. Avviene in un altro mondo, non nella vecchia Europa che si arrovella sul proprio futuro, ma nell'Africa che sopravvive al ruolo di preda e colonia.
Dopo lungo peregrinare nei loro esilii che fanno pensare, itinerari a parte, a quello di Klaus Mann, a Fez, in Marocco, accadrà l'incontro impossibile. Ma l'overdose di vita che hanno già consumato sarà fatale a entrambi.
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