RomaSe nè andato con quattro lettere sigillate: solenne, preciso, sempre se stesso, Cossiga. Missive allindirizzo delle alte cariche dello Stato in cui le ultime volontà sono il riassunto del suo carattere puntiglioso e nostalgico: funerale privato, «senza la partecipazione di alcuna autorità», il riposo nel cimitero del padre e della sorella, il saluto del picchetto donore dei bersaglieri della brigata Sassari, la bara ricoperta dal Tricolore e dalla bandiera della Sardegna. In queste disposizioni cè tutto: il rispetto quasi sacro per le istituzioni e per il «popolo sovrano», il legame struggente con la terra, la sua Sardegna, lonore delle divise, il segreto degli affetti e di unindole molto più fragile di quanto non apparisse allesterno. Oltre a quel vezzo, quel tormento, di scrivere e scrivere. Il segno immortale sulla carta. Cossiga si è spento alle 13.18 al Policlinico Gemelli di Roma dopo nove giorni di ricovero. Ma la sua morte è stata preparata da lui stesso con un lucido anticipo. La meticolosità nella stesura delle lettere, tutte differenti luna dallaltra, ne è testimonianza. Il presidente emerito della Repubblica le scrisse tre anni fa. Quattro lettere al futuro: la predisposizione ieratica di un addio che da ieri è testamento.
Il 18 settembre del 2007 le fece recapitare al segretario generale di palazzo Madama, Antonio Malaschini. Da quella data, fino a ieri mattina, sono state custodite in una cassaforte. Al momento della morte, i plichi sono stati presi e consegnati dagli autisti del Senato a Napolitano, Berlusconi, Schifani e Fini.
Al Gemelli di Roma questi sono stati nove giorni di agonia lenta, con otto bollettini medici altalenanti. Lultimo, quello di ieri mattina, parlava di «un repentino e drastico peggioramento delle condizioni circolatorie». Al capezzale i figli Giuseppe e Anna Maria. Il saluto privato è nei loro occhi e nelle loro mani, quello più pubblico, nelle lettere ufficiali, scritte da Cossiga come la cronaca di una morte che aspettava, «nel momento in cui il giudizio sulla mia vita è misurato da Dio Onnipotente sulle verità in cui ho creduto e che ho testimoniato e sulla giustizia e carità che ho praticato».
La patria, Dio, le istituzioni, il popolo, sono qui le sue austere credenze: «Confermo la mia fede civile nella Repubblica», ha scritto al presidente del Senato Schifani: «Fu per me un onore grande servire la Repubblica». Quindi il «saluto» «ai valorosi e illustri senatori» e «il mio augurio più fervido di servire la Nazione e di ben governare la Repubblica al servizio del popolo». Lultima parola è Italia: «Che Iddio protegga lItalia! Francesco Cossiga».
Per chi era bambino quando il Picconatore diventò presidente della Repubblica, nel 1985, Cossiga è uno di quegli uomini eterni, perennemente vivo, uno di quei volti con cui una generazione è nata. In realtà Cossiga se nè andato a 82 anni, e dunque non era così anziano. Forse mai, per nessuno, sono giunte dichiarazioni di cordoglio da ambienti così disparati, da gruppi sopravanzati dalla storia, da un arco parlamentare anziano e giovane, vasto e trasversale. Un lutto partecipato e stravagante, in cui si mescolano dichiarazioni ufficiali, inaspettati affetti, bizzarre dichiarazioni di stima. E così ecco la «preghiera per lamico» di Papa Ratzinger, la «gratitudine» della disciolta Gladio, una nota addolorata dellArcigay, «lonore al mio ex nemico» dellex brigatista Prospero Gallinari, e poi il saluto dellUnione monarchica italiana, dei nazionalisti baschi, della Polizia di Stato, dei frati francescani di Assisi, della Massoneria di palazzo Giustiniani, dellambasciata americana.
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