Succube di politici ed estremisti Così ha fallito la Cgil di Epifani

RomaIl risultato più bello di questi otto anni? «La battaglia per la difesa della Costituzione e la vittoria nel referendum». E il principale errore? Guglielmo Epifani ci pensa un po’, ma poi ammette: «Forse quando si era al tavolo con Montezemolo e mi sono alzato». Ieri alla Cgil è iniziata l’era di Susanna Camusso, prima donna alla guida della confederazione, eletta con oltre il 79 per cento dei voti, e si è chiusa quella di Epifani. Oggi il segretario generale saluterà militanti e quadri al teatro Quirino di Roma, ma il suo bilancio da leader l’ha già consegnato martedì all’Unità in un’intervista nella quale ha spiegato che la sua eredità consiste in un risultato tutto politico e difficilmente verificabile - la difesa della Carta del ’48 - e nell’unico, timido «no» imposto ai «duri» della Fiom durante due lunghi mandati: l’approvazione con il voto dei lavoratori del protocollo sul Welfare, cioè l’accordo tra il governo Prodi e i sindacati che smantellò la riforma previdenziale approvata dal precedente esecutivo Berlusconi, ma che i metalmeccanici della Cgil non volevano perché lo consideravano ancora troppo poco di sinistra. Unica, soffertissima, resistenza al sindacato più radicale della Confederazione che, per il resto, ha condizionato senza troppi problemi la linea di Epifani. La sua segreteria è nata come risposta riformista a Sergio Cofferati, ma ha finito per lasciare la Cgil negli stessi binari sui quali l’aveva lasciata il predecessore.
Stesso rapporti con la linea antagonista che cova nell’organizzazione da oltre vent’anni. La segreteria Epifani inizia con la coda delle aggressioni all’allora segreteria della Csil Savino Pezzotta, colpevole di avere siglato un patto con il governo di centrodestra, e si conclude con le aggressioni al sindacato cattolico e all’attuale leader Raffaele Bonanni da parte degli autonomi, ma anche di delegati della Fiom-Cgil, questa volta a causa della Fiat.
Stessi, o comunque simili, i problemi con la politica. La Cgil non è più la cinghia di trasmissione di un partito, ma nonostante le buone intenzioni dei primi mesi, Epifani non è riuscito a farla dialogare con il centrodestra, con il risultato che le altre due confederazioni, la Cisl, la Uil di Luigi Angeletti, insieme agli autonomi come la Confsal, hanno monopolizzato l’attività propriamente sindacale. Allo stesso tempo con la segreteria Epifani sono crollate anche le ultime barriera politiche «a sinistra» e il sindacato di Corso d’Italia è attraversato da tutte le correnti nate in questi anni alla sinistra del Pd: da Italia dei valori, che conta ormai una bella quota di simpatizzanti e delegati, fino al popolo viola. Stesse anche le difficoltà a firmare accordi impegnativi. Così come Epifani disse no a Montezemolo, che aveva tutta l’intenzione di farlo rientrare ai tavoli, la sua Cgil, sempre sulla spinta delle tute blu della Fiom e nonostante lo stesso segretario generale all’inizio avesse lodato l’amministratore Marchionne, ha di fatto respinto il piano della Fiat per il rilancio degli stabilimenti a partire da Pomigliano.
La Camusso si ritrova a gestire questa eredità. E una qualche avvisaglia di come sarà la sua Cgil c’è stata ieri alla conferenza stampa tenuta dopo l’elezione. La Fiom è un problema? No, «nessuna categoria in Cgil può essere un problema.

Questa è la stagione in cui la Cgil ha l’onere della proposta e chiederemo alla Fiom di dimostrare che non sappia solo difendere ma anche proporre». Difficile, almeno al momento, trovare differenze con la linea di Epifani.

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