da Milano
«Sono una maledizione, non fanno niente, non intervengono contro le fiamme, non danno alcun aiuto» sentenziò una volta l’ex segretario socialista Giacomo Mancini sui forestali. Da potente politico calabrese, conosceva bene il male di cui parlava. In effetti, la categoria dei forestali in Italia sembra seguire un’aritmetica alquanto bizzarra. Il loro numero cresce non a seconda degli ettari a rischio incendio, ma alla latitudine della Regione che li impiega: più si scende a sud, più aumentano.
La «verde» Sicilia
Normale quindi che il record sia in Sicilia, regione tra le meno boschive d’Italia (solo l’8% contro la media italiana del 30%), dove tuttavia è dispiegato un esercito di 30.754 forestali, uno ogni 12 ettari. Ora, dato che in tutto il Paese gli addetti sono 68mila, si evince che poco meno della metà lavora tra Catania e Palermo. Una truppa che basterebbe a tenere sotto controllo ogni cicca di sigaretta buttata a terra in Sicilia, eppure, chissà perché, ogni estate gli incendi si mangiano mezza isola. L’altro estremo invece è in Friuli-Venezia Giulia, regione tra le più verdi d’Italia con 350mila ettari di foresta ma solo 50 forestali (di cui solo 30 assunti), ognuno dei quali deve badare a 7000 ettari di bosco.
Il business del fuoco
Sempre per rimanere a nord, la Lombardia impiega 400 uomini, il Veneto 420, la Toscana - con più di 1 milione di ettari di bosco - 840 forestali. Il Piemonte è coperto al 34% da boschi, 875mila ettari in tutto, ma per controllare questa distesa di legno e foglie bastano e avanzano 559 operai. In Calabria, invece, c’è quasi la metà di boschi, 600mila ettari, ma diciassette volte più lavoratori forestali, più o meno 9.600. Più di quelli impiegati in tutto il Canada, come ha raccontato in un libro Gian Antonio Stella. «Undicimila? Sono troppi, andrò a vedere se non è l’ennesimo caso di spreco assistenzialista» promise Roberto Calderoli nel 2004 prossimo (ma mai nominato) commissario per i forestali calabresi. Un po’ troppi in effetti. Certo, la maggior parte sono precari senza un vero contratto, gente che campa sulle emergenze e sulla frequenza degli incendi. Così può capitare che qualcuno finisca in galera perché sorpreso non a spegnere incendi, ma ad appiccarli. Negli ultimi anni sono finiti in manette diversi operai forestali e politici legati al «business» dei roghi, il 95% dei quali è di origine dolosa. Perché gli incendi giustificano le assunzioni, gli appalti per la riforestazione, i fondi dello Stato, e un posto di lavoro val bene un voto. Un circuito del malaffare che tocca assessori corrotti, clientele, criminalità organizzata e soldi pubblici. L’emergenza «incendi» costa ogni anno solo in Calabria 247 milioni di euro.
Precari infiammabili
Un vero peccato, perché da un rapporto di Legambiente si scopre che in Italia nel triennio 2003-2006 i roghi non sono aumentati ma diminuiti. Alcune zone però, come appunto Calabria e Sicilia, sono in controtendenza. Proprio lì, dove c’è la metà degli «operai idraulico forestali» italiani, l’attività dei piromani migliora anno dopo anno. Dei 39mila ettari di bosco bruciati nel 2006 in Italia, circa 21mila sono tra Calabria (7955) e Sicilia (13.470). Oltre la metà. In Trentino, per dire, sono andati in fumo 6 ettari dei bosco. Il Sisde già nel 2001 aveva informato il ministero dell’Agricoltura con un dossier di sette pagine spiegando che «permane irrisolto il problema degli assunti con contratto stagionale» tra i forestali. Quale problema? Incendiare per poi ricattare le autorità regionali in modo da farsi assumere subito e con contratti migliori.
Un forestale prende dagli 800 fino ai 1100 euro mensili di uno specializzato. Poi ci sono i cinquantunisti, centounisti o centocinquantunisti, a seconda del numero di giorni lavorati all’anno. Gli altri giorni sono coperti dal sussidio di disoccupazione, circa 4mila euro. La maggior parte dei forestali calabresi tuttavia è assunta a tempo indeterminato dall’agenzia regionale (Afor) e costa in tutto circa 240 milioni di euro. A volte tra i forestali si nascondono anche latitanti e affiliati ai clan. Alcuni anni fa i carabinieri denunciarono 108 assenteisti che però risultavano regolarmente sul posto di lavoro, perché i capisquadra timbravano il cartellino al posto loro. Si scoprì che erano manovalanza della ’ndrangheta locale, stipendiati come forestali.
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