Le sue ultime parole: «La guerra? Sporco lavoro ma qualcuno deve farla»

«La guerra è uno sporco lavoro, ma qualcuno dovrà pur farla» ha scritto Alessandro Di Lisio su Facebook prima di morire in Afghanistan. Non mancherà chi utilizzerà questa frase per la solita propaganda spicciola contro le missioni militari sui fronti più caldi. Invece sono le parole vere e crude di un soldato, il caporalmaggiore Di Lisio, che non si è mai tirato indietro. Un parà tutto d’un pezzo, nato a Campobasso. Un ragazzo che ha sacrificato la sua vita per quello in cui credeva. «Mentre altri alla sua età si fanno prendere da mille distrazioni, Alessandro ha affrontato una missione in cui sapeva che rischiava la vita. Era un ragazzo convinto, che faceva onore ai suoi 25 anni», racconta il colonnello Vittorio Stella. Comandante dell’8° reggimento guastatori paracadutisti di Legnago, l’unità del parà caduto in terra afghana.
Di Lisio si era fatto tatuare sul braccio sinistro un cane dalla faccia simpatica con il basco da paracadutista. Amava la gloriosa divisione Folgore, che da El Alamein a Farah si è coperta di gloria. E aveva un allevamento di cani. «Non era solo un mio commilitone, ma un compagno per tutta la vita» ricorda il caporalmaggiore scelto Nicola Iasci. A Nassirya, nell’inferno iracheno, erano stati fianco a fianco. «Ha scelto lui il mio bulldog che ho chiamato Tyson – racconta l’amico –. Voleva rimanere per sempre nell’esercito e non si tirava mai indietro». I due guastatori si sono lanciati assieme con il paracadute «quando la tensione si taglia con il coltello. E se Alessandro non era a bordo si arrabbiava».
Sembra che pure il padre fosse un paracadutista, ma ora è distrutto dal dolore. «Non posso crederci, non è vero, forse è uno scherzo?» avrebbe detto quando ha ricevuto la terribile notizia. Suo figlio era un ragazzone alto e robusto, capelli neri e corti tagliati all’americana. «Stava con Mariangela da due anni e mezzo», raccontano i commilitoni. Su Facebook ha scritto «troppo di destra», come orientamento politico. La 22ª compagnia guastatori, di cui faceva parte, si chiama “Angeli neri”, ma Alessandro non era un invasato e tantomeno un estremista o un fanatico. Piuttosto un ragazzo schietto e coraggioso. «Non è andato in Afghanistan per motivi meramente economici. La sua era una scelta di vita. Per noi era un esempio nei momenti belli e anche in quelli brutti», ricorda l’amico Iasci. I due giocavano a calcetto assieme e del commilitone ricorda un particolare: «Il timbro di voce: prima ancora di vederlo arrivare lo sentivi».
A casa ha lasciato la famiglia che vive a Peschiatura di Oratino, in provincia di Campobasso. Il padre Nunzio, la madre Addolorata e le sorelle Maria e Valentina, che piangono il giovane parà caduto in Afghanistan. Secondo il sindaco del piccolo centro, Orlando Iannotti, «Alessandro era un ragazzo solare, comunicativo e affidabile».
Sulla rete il guastatore della Folgore è già un «eroe». «Portare la pace a volte comporta rinunce importanti e Alessandro ha rinunciato alla propria vita... cosa dire... onore all'uomo, onore al soldato, ciao Alessandro anche se non ti conosco!!!!», scrive un navigatore. Altri pensano all’angoscia dei parenti: «Quando ho sentito la notizia alla tv della morte di un militare ho avuto i brividi... mio marito caro Ale è un tuo collega, capisco cosa vuol dire», scrive Mariangela.


Il caporalmaggiore Di Lisio era stato in missione in Irak nel 2005 e questa volta è partito con una cinquantina di militari del genio guastatori. In Afghanistan era arrivato ad aprile. Per i suoi 38 amici su Facebook aveva scritto: «Mancano soltanto tre mesi di guerra... solo tre mesi».
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