Gianandrea Zagato
Dario Fo è vecchio e pure stanco ma quando parla, be’ orecchi e microfoni sono tutti per lui. È accaduto anche sabato quando il Nobel è sbucato all’improvviso nel corteo dei Verdi: applausi, abbracci e autografi accompagnati da un coro da stadio, «Fo sin-da-co, Fo sin-da-co». Imbarazzante per Bruno Ferrante che da mezzoretta se ne stava lì a manifestare e raccogliere un po’ di visibilità: per lui nemmeno un urletto, neanche quando era intervenuto con le sue proposte anti-traffico. E, così, l’ex prefetto ha preferito abbandonare il campo: meglio andare via, lontano dal suo competitor e dalle critiche sollevate in privato da quel mondo ambientalista che non sembra affatto desideroso di vedere Ferrante sulla poltrona oggi occupata da Gabriele Albertini.
Già, Ferrante non ha saputo compiere il miracolo e mettere d’accordo gli eterni litiganti del centrosinistra: gli manca il consenso al di là delle scontate attestazioni di stima. E non certo per colpa del suo carattere schivo e prudente né del suo atteggiamento ancora da rigido e anonimo rappresentante milanese del ministro degli Interni. La ragione è che Ferrante non sa rappresentare quel centrosinistra che da quindici anni è in minoranza. Per scoprirlo basta cliccare sul sito www.onemoreblog.org dove si denuncia già «la rete politico-affaristica che lo sostiene». Replay di quanto già visto nel recente passato con il caso Veronesi ma, ora, «si aggiungono altri dubbi ben più gravi e inquietanti». Sospetti che i supporter di Ferrante preferiscono non commentare.
E mentre qualche diessino si spinge a rivangare sul passato del ventenne Fo nelle file della Repubblica sociale italiana, i verdi ironizzano sulla voglia di Ferrante di spalmare «parcheggi entro i confini della città» che, dicono, sarebbe determinata esclusivamente dalla presenza nel suo staff di un rappresentante dei comitati di quartiere legato a società del settore. Notizie soffiate ai cronisti che vanno di pari passo con le email indirizzate allo stesso Ferrante da cittadini che preannunciano il non voto al candidato dell’Unione. Messaggi che, nero su bianco, raccontano il malessere e il disagio di un candidato contraddittorio: «che tristezza, nei dieci punti del suo programma non ho trovato niente che non potesse non dire pure il suo avversario», «mi aspettavo idee innovative e non banali proclami», «perché da prefetto non ha fatto quello che oggi propone?».
Domande e osservazioni che suggeriscono ai suoi supporter di limitarne le uscite pubbliche ante-primarie e a disertare ogni confronto di merito con gli altri candidati: «Non c´era all´incontro con i cittadini della zona Fiera e neppure con quelli che contestano la Gronda Nord. Non c’era neppure a parlare di città metropolitana con me, Dario Fo e Milly Moratti. Ma che cosa le facciamo a fare le primarie?» si interroga retorico Davide Corritore, il quarto candidato. Anche lui colpito dalla strategia di un centrosinistra incerto, malmesso e pure poco disponibile ad aprire i cordoni della borsa. Un esempio? Far viaggiare i claim di Ferrante per il voto del 29 gennaio sulle fiancate degli autobus Atm equivale ad una spesa di venti-trenta mila euro ovvero una goccia nel mare rispetto all’agguerrita macchina da guerra del centrosinistra su cui Ferrante sperava di poter contare.
Evidente che non si vogliono sprecare risorse su un candidato che non convince e che deve limitarsi al volontariato, da quello del suo portavoce all’ospitalità del suo comitato elettorale negli uffici di Marco Vitale.
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