Gian Marco Chiocci e Massimo Malpica
«Quell’appalto milionario dell’auditorium di Isernia per i 150 anni dell’Unità d’Italia?». Il coordinatore era Rutelli. E sia lui che Romano Prodi sapevano dei sospetti di anomalie nelle procedure. A sparare contro il centrosinistra, tirandolo in mezzo nell’inchiesta sui grandi eventi, è Antonio Di Pietro. Che l’altro ieri, interrogato a Roma dai pm perugini Sergio Sottani e Alessia Tavarnesi, non si è limitato a ribadire quanto già dichiarato ai giornali rispetto alle affermazioni dell’architetto Angelo Zampolini, che in qualche modo aveva indicato l’ex ministro come non estraneo alla «cricca». Certo, Di Pietro nel suo interrogatorio ha negato i legami con l’ex presidente del consiglio superiore dei lavori pubblici, Angelo Balducci, sia per quanto riguarda le presunte pressioni per essere introdotto in Vaticano che relativamente a quelle due case prese in affitto, spiegando che solo una era di proprietà di Propaganda Fide (dove abita la tesoriera dell’Idv Silvana Mura ottenuta, ha spiegato, grazie al collega di partito Stefano Pedica, non a Balducci).
Ma poi ha addirittura rilanciato, quando i pm gli hanno chiesto conto di quel passaggio del verbale di Zampolini in cui l’architetto aveva detto che Di Pietro, inizialmente critico con le gare d’appalto per il «grande evento» dei 150 anni dell’Unità d’Italia, avrebbe cambiato opinione «allorché nel programma dei lavori fu inserito l’Auditorium di Isernia, per il quale erano stanziati oltre 20 milioni di euro: approvato il progetto, concesse il via libera anche a tutte le altre opere». Tonino se l’aspettava, quella domanda. E ha tirato fuori ciò che lui considera l’asso dalla manica di questa storia, sotto forma di lettera. Una missiva, che porta la data del 17 dicembre 2007, indirizzata da Di Pietro all’allora premier Romano Prodi e al «comitato dei ministri per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia», coordinato dal vicepremier Francesco Rutelli. Un atto d’accusa contro la cricca, ha evidenziato Di Pietro, scritto tre anni prima che l’indagine venisse alla luce. Di Pietro denuncia nero su bianco a Prodi e a Rutelli «gravi anomalie». Segnala la «difformità» dei tempi per la presentazione dei progetti previsti dalle procedure adottate dalla struttura di Missione, rispetto alla legge sugli appalti. Lamenta «inspiegabili incentivi» destinati al personale della struttura di missione. Minaccia persino le dimissioni dal comitato dei ministri per i 150 anni dell’Unità d’Italia, e scrive di suo pugno, in calce alla missiva, un appello che paventa sviluppi penali, accennando al rischio di «macroscopiche violazioni di legge».
Insomma, Tonino si chiama fuori, e lascia spazio perché gli approfondimenti degli inquirenti si concentrino, semmai, sul ruolo dei suoi ex compagni di governo. Tirati in ballo da Zampolini e difesi dallo stesso Di Pietro che in un’intervista sull’Unità li aveva cooptati nel club delle «vittime» dei mandanti occulti dell’architetto Zampolini («la magistratura deve accertare chi c’è dietro questa operazione che coinvolge non solo me ma Prodi, Veltroni e Rutelli»). Tornando alle «case dell’Idv» Di Pietro è stato categorico. Questo il suo ragionamento: «Non ho mai preso in affitto appartamenti da Propaganda Fide né per me né per mia figlia né per metterci una sede riconducibile all’Italia dei valori». Quanto all’appartamento di via della Vite a Roma, il leader Idv ha esibito la delibera dell’ufficio di presidenza del 21 febbraio 2006 con la quale il partito dava mandato di stipulare la realizzazione e diffusione del giornale di partito alla società editrice Mediterranea «che all’atto della stipula già risiedeva in quello stabile».
Quanto all’appartamento della Mura, segnalato da Pedica, Di Pietro ha esibito il contratto d’affitto della Mura da 1.800 euro al mese (più 200 di spese), datato 9 novembre 2006, con Propaganda Fide. «Il contratto è effettivamente intestato a Claudio Belotti convivente della Mura stessa (...) e quanto a mia figlia Anna non ha mai abitato in questo appartamento. Né è io né mia figlia abbiamo mai avuto che fare con l’imprenditore Diego Anemone». Intanto mentre gli inquirenti avrebbero trovato le tracce del tesoro della cricca (una decina di milioni di euro riferibili a Balducci e a Rinaldi) depositata in conti correnti e depositi bancari tra San Marino e il Lussemburgo, Di Pietro ha ripreso politicamente coraggio.
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