Nelle ultime ore il sottosegretario Sartor sta cercando, con gli uomini della Ragioneria generale dello Stato, di far quadrare il cerchio. Ma la scelta definitiva è stata affidata a Palazzo Chigi, a cui i quattro ministri anti-Padoa chiedono di assumere la cabina di regia della politica economica.
I ragionamenti del ministro dell’Economia partono da un dato certo: le maggiori entrate di quest’anno potrebbero non ripresentarsi nel 2008. Per questo, a via Venti Settembre vedono con preoccupazione gli aumenti delle pensioni al di sotto dei 500 euro. Le risorse per coprire gli aumenti nel 2007 ci sono. Ma non tutte possono essere considerate strutturali per il 2008. Da qui, la proposta - che sta tornando a galla - di concedere aumenti una tantum ai pensionati meno fortunati.
Non è finita. Se governo e sindacati trovano un’intesa sulla sostituzione del sistema dello scalone previdenziale con il meccanismo delle quote (introducendo così scalini pensionistici), il ministro dell’Economia deve recuperare almeno un miliardo (per i conti della Ragioneria ne servirebbero di più), così come chiede Piero Fassino. Quindi, deve fare una manovra correttiva con la legge finanziaria per il prossimo anno; oppure varare un decreto che reperisce maggiori risorse, magari agganciandolo al Bilancio d’assestamento, da presentare entro giugno in Parlamento.
E con il reperimento di maggiori risorse viene meno il «sogno» a lungo accarezzato dal governo di fare, per il 2008, una Finanziaria che redistribuisce; insomma, senza interventi di correzione del deficit tendenziale. Per raggiungere gli obbiettivi prefissati - era il ragionamento valido fino a dieci giorni fa - sarebbe bastato il «tesoretto» non destinato alla spesa; ma congelato per il risanamento: così come chiesto da Bruxelles. E che sarebbe dovuto ammontare a circa 7,5 miliardi: il mezzo punto di correzione del deficit chiesto dal Patto di stabilità.
Un passo indietro. Perché costa la sostituzione dello scalone con gli scalini ed il sistema delle quote? Con lo scalone della riforma Maroni-Tremonti si poteva andare a riposo, dall’1 gennaio prossimo, solo se si erano raggiunti i 60 anni d’età e accumulati i 35 anni di contributi. Con un risparmio stimato in circa 2 miliardi per il primo anno. L’orientamento del ministero del Lavoro è invece di portare i requisiti minimi a 58 anni d’età (contro i 57 attuali) ed i 35 anni di contributi. La somma dei due dati (58 e 35) definisce il dato fissato dal sistema delle quote, 93 per l’appunto.
L’obbiettivo di chi ha messo a punto il sistema è quello di portare la
quota al livello di 96 entro il 2010. Vale a dire, ci si potrà ritirare solo se si sono accumulati 60 anni d’età e 36 anni di contributi; oppure altre diverse combinazioni, tenendo fermi un minimo di 35 anni di contributi. In altre parole, viene fatto slittare lo scalone di due anni; ma resta il principio di allungamento dell’età lavorativa. E senza i risparmi previsti. Da qui, la necessità di una manovra per recuperare i minori risparmi già contenuti del deficit tendenziale del 2008. Con un’osservazione: l’aumento dell’età pensionistica viene previsto alla vigilia delle elezioni politiche del 2011.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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