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Sulla scacchiera del processo 200 pedine

Via subito alle schermaglie tra le parti. Per la difesa oltre 157 testi, contro i 50 del pm. Tra i fotografi è parapiglia. E l'avvocato fa lo show: "Caso mediatico? Meglio così"

Sulla scacchiera del processo 200 pedine

Como - Quando alle 18 e spiccioli giornalisti e avvocati sciamano fuori dal Palazzo di giustizia di Como, la sensazione è che il processo di Erba sarà una partita a scacchi, dove niente è quello che sembra. Accusa e difesa hanno mostrato le unghie e si sono graffiati per tutta l’udienza, davanti all’«arbitro» Alessandro Bianchi, che qualche fallo l’ha fischiato. Si comincia di buon mattino, poco dopo le 9. L’aula è gremita. L’avvocato di Azouz, Roberto Tropenscovino, scherza col pm che ha messo in galera il suo assistito per una storiaccia di droga. Il tutto immortalato da un telefonino di uno dei 60 comaschi supermattinieri. Fuori sembra un set cinematografico. I giornalisti col pass rosso sono già dentro l’aula. Quelli meno fortunati (o forse no) hanno un pass giallo e una stanzetta da 33 posti con un maxischermo e due, tre poliziotti che vigilano. Tropenscovino chiede che Azouz si sieda di fianco a lui, e non stia in cella. E sia.

Sugli schermi del circuito interno va in onda il personalissimo show di Enzo Pacia, legale last minute di Olindo e Rosa. «Sono stati intervistati dei testimoni, si è voluto un processo pubblico ancora prima che cominciasse. E allora sapete che vi dico? Che io mi sento garantito dalla presenza di stampa e televisioni». E così Bianchi decide che il processo sarà ripreso solo dalle telecamere di Un giorno in pretura di Raitre. E che sarà trasmesso in differita, a processo chiuso. Le parti civili hanno buon gioco nel chiedere che, in certi casi, le immagini debbano essere «consumate» solo dai giornalisti presenti. Bianchi è generoso e concede subito una deroga: «I fotografi, i cameraman possono entrare per 10 minuti». È un attimo: davanti alla cella di Olindo è un bosco di braccia tese, per dirla alla Battisti. Il tempo passa, Bianchi si spazientisce, tamburella nervosamente. «Ma quanti sono...», si lascia sfuggire. Schermaglie rispetto alla battaglia che si annuncia sulle cosiddette «eccezioni». La difesa dei Romano chiede di inserire nel fascicolo del dibattimento le risultanze dei Ris alla base della perizia (già anticipata dal Giornale, ndr) che la difesa intende usare a discolpa. Insinua il dubbio che la perquisizione del 26 dicembre 2006, che ha consentito ai carabinieri di Como di trovare una macchia di sangue di una delle vittime sulla Seat Arosa di Olindo, sia illegittima perché avvenuta senza la presenza di un legale. Poi piazza sul banco degli imputati le confessioni del 10 gennaio scorso. «Vanno escluse dal processo», accusa Fabio Schembri, i diritti di difesa sono stati «violati». E ancora, insiste il terzo avvocato, Luisa Bordeaux, «ci sono stranezze nelle trascrizioni e nel verbale sintetico, che non risulta compatibile con la registrazione audio». Per capirlo, basta sentire l’audio degli interrogatori e confrontarlo con la trascrizione. La Corte si ritira per valutare le eccezioni (che boccerà) e confrontare audio e testo delle confessioni. Non prima di aver sentito il pm Astori parlare di «eccezioni strumentali» e di «scenari inquietanti». Ma quella che sembra una sconfitta, in poco tempo, si trasforma in un piccolo successo. Fuori Tropenscovino festeggia davanti alle telecamere, dice che «quelle eccezioni sono improponibili, cavilli per poter rosicchiare qualcosa».

Poco più in la, i difensori gettano la maschera: «Era un cavallo di Troia, abbiamo fatto ascoltare alla corte quelle confessioni che noi riteniamo deboli, incomplete, estorte. Adesso forse lo penseranno anche i giurati». Poi è ancora Pacia show: punta il dito contro Astori per «quegli aggettivi di troppo» e offre «piena fiducia» a Bianchi. Oggi si decide sui testimoni, e anche questa sarà una partita a scacchi. La difesa ne ha schierati 157.

Tra di loro c’è Manuel Gabrielli, avvocato di Frigerio, «colpevole» secondo i legali della difesa, di aver ascoltato e raccolto per primo (con tanto di fax datato 16 dicembre) il primo riconoscimento del killer secondo Frigerio (alto, carnagione olivastra, etnia araba, mai visto prima) e soprattutto di aver rivelato al Giornale in una intervista (registrata e messa agli atti) i suoi timori sulle incongruenze tra il primo identikit e quello di Olindo, pilastro centrale per l’accusa. Se Bianchi accoglierà la richiesta di ascoltare Gabrielli, Frigerio dovrà trovarsi un altro avvocato. L’accusa risponde con altre 50 «pedine», tra le quali il giornalista Pino Corrias (autore del libro Vicini da morire), perché avrebbe visto un video della Bazzi che confidava al criminologo Massimo Picozzi (allora perito della difesa, ndr) di essere un’assassina. In mezzo c’è spazio per un altro articolo del Giornale, datato 3 dicembre, che Astori ha chiesto di inserire.

Il perché lo scopriremo forse già oggi.

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