La ricerca della speranza in tempi di caos e violenza: con La profezia della luce (Bompiani, pagg. 304, euro 18) Emmanuel Exitu torna a esplorare uno dei suoi temi più cari, già al centro del successo di Di cosa è fatta la speranza, vincitore del Premio Comisso 2024 per la narrativa. In questo nuovo romanzo lo scrittore bolognese riprende un soggetto che lo accompagna da quasi vent'anni: il mistero dei Magi. Non è la prima volta che Exitu (pseudonimo di Bonfiglioli, scelto anni fa in omaggio al monologo In Exitu di Giovanni Testori) affronta questa storia: nel 2006 aveva già pubblicato La stella dei Re per Marietti1820, da cui aveva tratto la sceneggiatura per l'omonimo film prodotto da Edwige Fenech e trasmesso su Rai Uno nel gennaio 2007. Ma la curiosità per i Magi viene da molto più lontano: "Nasce da quando, bambino, facevo il presepe: non potevo mai mettere i Magi perché arrivavano in ritardo. Ma chi erano davvero? Così potenti e affascinanti, perfetti per essere dei personaggi. Eppure di loro non si sa quasi niente", ci spiega.
La curiosità infantile si è trasformata in un'indagine appassionata che mescola archeologia, astronomia e narrazione: La profezia della luce racconta il viaggio di tre uomini attraverso i deserti d'Oriente in cerca di una possibile salvezza. Melkhior, custode della Profezia della luce, che ha consumato gli occhi studiando i cieli in attesa del segno, vecchio sacerdote zoroastriano ormai cieco ma capace di leggere le traiettorie degli astri, guida una carovana verso la Palestina. Con lui viaggiano Gaspar, giovane guerriero in cerca di vendetta in memoria del padre, e Balthasar, re dei Cinque Deserti, dalla pelle nera come ossidiana, predone sanguinario, distruttore di città.
Non a caso dalla sua uscita il romanzo ha avuto un ottimo successo di vendite: se di ricetta si può parlare, infatti, quella di Exitu unisce rigoroso recupero della verità storica, plot da blockbuster e approfondimento psicologico. Il punto di partenza è quello dei dodici versetti del secondo capitolo del Vangelo di Matteo, l'unico testo sacro che parli dei Magi: "Matteo ne scrive con particolare precisione, ma usando informazioni scoperte solo nel terzo secolo dopo Cristo: quindi ha usato notizie di prima mano, perché ancora non aveva libri a cui riferirsi", spiega Exitu. "Nel Vangelo non c'è scritto che sono tre, che sono re, né che c'è una cometa. L'iconografia tradizionale della stella che li guida nasce da Giotto, che nella Cappella degli Scrovegni dipinse la cometa di Halley che aveva appena visto".
Proprio la ricerca storica e astronomica ha portato Exitu - autore televisivo, story editor e drammaturgo - a scoprire che il fenomeno celeste descritto nel Vangelo non poteva essere una cometa, considerata un segno di sventura: "Nel 7 a.C. avvenne invece una congiunzione planetaria rarissima, il cosiddetto trigono del fuoco: Giove, pianeta dei re, si congiunse con Saturno, pianeta dei giusti, nella costellazione dei Pesci. Per i sacerdoti mazdei questo era il segno atteso: la profezia della luce annunciava che Ahura Mazda, il principio del bene, avrebbe mandato all'uomo un soccorritore di luce", prosegue Exitu. "Questa congiunzione formava una palla grossa più della luna piena, un punto fisso nel cielo che ti dà una direzione per il tuo viaggio".
Melkhior porta incenso, Balthasar l'oro, frutto dei suoi crimini, e Gaspar la mirra, che era materiale rituale della religione della Grande Madre: la loro è una storia di conversione e redenzione, un viaggio fisico ed esistenziale che attraversa le tre età della vita. Il romanzo si apre a punte di spiritualità e tragedia che consentono a Exitu di esplorare non solo il bene e la profezia, ma il male e la sofferenza e il loro inestricabile legame. Una di queste punte è l'arrivo dei Magi alla grotta: "Quando i re arrivano, che cosa vedono?" si è chiesto lo scrittore. "Volevo raccontare che quella carovana, una quindicina di cammelli, una cosa povera, aveva incontrato Gesù, che però in quel momento era un bimbo di pochi mesi, solo capace di qualche verso e di succhiare il latte. La cosa che distingue questo libro dagli altri - penso a Michel Tournier con Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, che li ha resi simbolo di tre civiltà diverse è l'essere basato sui dati storici, sul fatto che è una storia vera. Mi interessava perciò agganciarli alla carnalità e alla vita quotidiana del tempo. Non posso credere che loro abbiano fatto l'incontro che ho fatto io con Cristo vedendo soltanto un bambino. Perciò ho immaginato che l'incontro sia stato con i genitori di Gesù. Ancora non mi spiego come ho fatto a scrivere la scena della grotta: è concepita come un cammino dello sguardo".
Il romanzo si apre con la violenza e si chiude con la violenza: la violenza di Erode, che Exitu dipinge come un personaggio ambiguo, furbissimo, feroce come una bestia, che ammazzava i figli, le mogli, ma anche scisso dentro di sé, con il male nel cuore e l'anelito ad apparire giusto. Dopo l'arrivo dei Magi infatti avviene la strage degli innocenti: "Quello che racconta il cristianesimo non è mai una favoletta per cui il bene fa dimenticare il dolore degli altri. Anzi, il bene ti fa entrare di più nel dolore degli altri" conclude Exitu. "Avevo bisogno di conoscere meglio il fermento che c'era al tempo e che è il fermento di oggi - perché c'è la stessa violenza, le stesse persone - e di capire come può succedere la speranza oggi.
Come dice il patriarca Pizzaballa: puntare sui risorti contro la logica dell'odio, sulla gente che segue il bene e cerca il bene. Per questo il mio è un romanzo storico, ma anche una time machine che consente di guardare al presente".