Sulle orme del magico Leonardo

L’ultimo romanzo di Enrico Groppali ricostruisce la vita alchemica del genio di Vinci, come fosse un flusso di coscienza postmoderno

«Stanotte ho sognato, una cosa che non mi accadeva da molto tempo. Perché da mesi, ormai, navigo nell’incoscienza». Inizia così, al risveglio da un sogno affacciato su una malattia, l’ultimo romanzo di Enrico Groppali, Leonardo mago (Mondadori, pagg. 208, euro 17). Calato nell’ego dell’artista da Vinci, il lettore viene immerso in un flusso di coscienza postmoderno, dove la vita del genio toscano scorre di ricordo in ipotesi, e di «ragione» in «sperienza». La fisionomia magica e alchemica del grande Leonardo si dipana in tal modo tra una confessione e una memoria, affidata ai pensieri e a qualche parola biascicata, secondo quanto consente ora il corpo, ora la mente. E ci si ritrova a ripercorrerne carriera e «segreti», intuizioni e meraviglie create di luogo in luogo, ma con la Firenze medicea a farla da padrone. E con quel Magnifico Lorenzo che non si può ritrarre, perché non muove mai un muscolo del volto; e se il movimento è la vita, e se il pittore non fa altro che fissare in eterno un moto del corpo come segno di un moto dell’anima, allora dunque il Magnifico non ha un’anima? Così, sbigottito davanti a tanta immota potenza, Leonardo sbotta: «Non siete un uomo, ma un’apparizione». E gli giunge l’eco di una risposta, di tra uno «sguardo inquisitore»: «Non hai ancora compreso, Leonardo da Vinci, che ognuno si limita ad apparire? L’uomo non è che un inganno sognato dalla natura. Tu non hai padrone, tu sei il signore degli spettri».
Spettralmente avanza dunque la reminiscenza di Leonardo, calata tra l’onirico e il sensibile, anche se la trama di un mondo segreto e ignoto ai più sembra un po’ usurata, dal tempo e dalle riproposizioni letterarie che fanno del passato un artificio dove esercitare la penna. Così la rievocazione delle opere sconfina in cammei da critico d’arte, che assegna alla coscienza dell’artista una lettura di quadri e situazioni storiche in bilico tra l’oggettivo e il soggettivo.

Così l’affanno dell’artista di fronte al vero rischia - paradossalmente - di risolversi in manierismo, come quando a cesello di una vita oltre misura Leonardo confessa: «Vorrei che al mio funerale venissero invitati i mendicanti, perché con la loro fede fanciullesca e cieca hanno compiuto il mio stesso cammino. Perché loro sono gli unici esseri consunti dalla febbre dell’ignoto. Loro sì, hanno volato».

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