Enrico Groppali
da Milano
Suor Teresa è stata per anni la collaboratrice più vicina a Fratel Ettore, ora ne ha preso il posto rimanendo fedele allinsegnamento di quello che a Milano è stato il religioso che, più e meglio degli altri, ha incarnato la solidarietà verso il popolo dei diseredati. Al numero 90 di Corso Isonzo, a Seveso, sorge Villa Bethania. Da fuori, nulla la distingue da un santuario: dalle grandi vetrate luminose si scorge una minuscola cappella, le statue della Vergine e le immagini del Cuor di Gesù ci guardano sorridenti, le panche allineate davanti al piccolo altare invitano a una serena meditazione; il silenzio, l'assenza di rumori e di voci inducono a quella pace dell'anima che non significa affatto uno sterile ripiegamento su di sé. Tanto che persino l'eco dolce e soffocata della parlata dialettale degli ospiti che vivono in permanenza nella comunità voluta, incrementata, sostenuta da quella grande figura che è stata Fratel Ettore Boschin ispira a chi viene dal frastuono della città pensieri che poco hanno da spartire con la frenetica corsa del tempo. Qui il tempo lo si assapora come una soave frescura, e chi ne incarna con semplicità e allegrezza lo spirito è Sorella Teresa Martino, una creatura privilegiata su cui gli anni, i mesi e i giorni si sono depositati con grazia, come una lenta discesa di fiocchi di neve sul bel volto severo appena lievemente mortificato da un paio di occhiali robusti, simili agli utensili prediletti dai monaci che di Ora et labora hanno fatto il loro motto.
Glielo dico, non appena nel minuscolo salottino della casa d'accoglienza si materializza la sua piccola figura illuminata dai bellissimi occhi neri in cui brilla una luce insieme tenera e maliziosa.
Sorella Teresa mi pare impossibile ritrovarla in queste vesti. Quando vent'anni fa la ammiravo nelle vesti di Giulietta accanto ad Aldo Reggiani e Corrado Pani, mai mi sarei aspettato di ritrovarla così...
«Non vedo la ragione di tanto stupore. Allora ero un'attrice, è vero, e mentirei per la gola se negassi che, a quell'epoca, il teatro non mi diede parecchie soddisfazioni: dalla protagonista di Coltelli, la sola pièce scritta da John Cassavetes alla Porzia del Mercante di Venezia in un bellissimo allestimento di Cobelli. Ma questo appartiene al passato».
Ma quegli anni avranno pure contato qualcosa, o no?
«Per me, che mi ero diplomata all'Accademia d'Arte Drammatica, il teatro era l'equivalente di un sogno. Comunicare la poesia agli altri, renderli partecipi della bellezza, fargli comprendere che la vita è ben altro che uno sterile edonismo. Purtroppo dovetti ricredermi. Per la maggior parte dei miei colleghi, infatti, la professione che avevo scelto era solo una disperata corsa al successo, la più volgare affermazione di sé».
Come avvenne la decisione di cambiare radicalmente stile e modo di vita?
«Cominciai a disertare il mio ambiente, tornai a casa dei miei in Abruzzo e mi misi a leggere come una disperata. Filosofia, letteratura e persino teologia. Scrissi anche due, anzi tre drammi per tentar di far luce nella delusione, nel disinganno che mi pervadeva da cima a fondo».
Li ha pubblicati? Si possono leggere?
«No, perché li ho distrutti. Non volevo diventare una scrittrice, volevo capire dove potevo dirigermi. Fu a quel punto, eravamo nei primi anni Novanta, che conobbi Fratel Ettore».
Dove avvenne l'incontro?
«Al mio paese, una sera qualunque, in occasione di una conferenza sui poveri, sui diseredati, sui disadattati. La sua predicazione, il suo esempio concreto, la sua incredibile capacità di lottare per il bene del prossimo mi colpirono al punto che decisi di vedere dove viveva e operava».
Non ebbe nessuna nostalgia del mondo che si preparava a lasciare?
«Moltissima. Tanto che, dopo qualche giorno, ne rifuggii. Ma per ritornare».
Quanto fu influenzata dalla costante presenza di Fratel Ettore?
«Fratel Ettore non mi ha influenzata, mi ha trasformata. Assistere i poveri, i malati terminali di Aids, farli dormire e farli mangiare dapprima a Milano, nei pressi della Stazione Centrale dove sono tuttora in funzione il dormitorio e la mensa, poi ricoverarli qui e, in seguito aprire altre case all'estero, a Bogotà, a Cartagena dove i problemi sono quasi incredibili a dirsi prima ancora di impegnarsi a risolverli è la sfida che Cristo ci impone quando ci sceglie».
Alcune delle sue affermazioni mi ricordano le dichiarazioni di Claudia Koll che, tuttavia, pur dedicandosi al prossimo non ha smesso di fare l'attrice...
«Non conosco la Koll, una persona cui va tutta la mia stima. In molti siamo chiamati, e a ognuno è indicata una strada diversa».
Cosa si aspetta dal futuro una persona come lei?
«Ho sottoposto al cardinal Tettamanzi la richiesta di poter diventare un autentico ordine religioso, quello delle Suore Ettorine. Sarebbe bellissimo pianificare, lavorare, pregare per chi verrà dopo di me».
Non è mai assalita dal pessimismo sulla condizione umana?
«Non ne ho il tempo. Soccorrere chiunque si presenti alla nostra porta mi inibisce di soffermarmi sull'assetto del mondo. Che va cambiato giorno per giorno. Fino alla mia fine che, grazie a Dio, sarà un nuovo inizio».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.