Atene - The man of the match, il riconoscimento che l’Uefa dà al miglior giocatore della finale non tocca Inzaghi più di tanto. Lo riceve dalle mani di Carlo Ancelotti, non dimostra di essere emozionato, anzi, ribatte che a lui di questa targa non interessa più di tanto. «La mia vera soddisfazione è quella di aver vinto la Champions, la mia seconda in rossonero e, proprio per questo, non sto più nella pelle». E subito il ricordo va alla stagione forse più tribolata della sua peraltro tormentata carriera. «Abbiamo iniziato a giocare il 9 agosto nei preliminari con la Stella Rossa», continua il bomber rossonero. «Mi hanno fatto rientrare dopo otto giorni di vacanza, neppure il tempo di riposarmi dopo il mondiale e di riprendere con una preparazione adeguata, e via subito in campo. Ma tutti questi sacrifici sono stati premiati, perché posso alzare questa mia seconda coppa, la più sofferta, ma anche la più bella».
Superpippo si guarda in giro, tira un lungo sospiro e poi parte a mitraglia: «Sono orgoglioso di essere nel Milan, orgoglioso di questo gruppo di giocatori, di questa grande società e degli incredibili tifosi che ci hanno seguito qui ad Atene, ma anche in tutta la stagione. Questa è davvero una bella storia». Non pensa ai suoi tanti gol in Europa: 58 e ben 38 in Champions, ma si commuove un attimo quando viene ringraziato per aver dedicato la vittoria ad Alberto D’Aguanno, suo caro amico, scomparso qualche mese fa. Si riprende poi quando si torna a parlare del suo «supergol» che ha sbloccato il risultato, un colpo di petto su punizione di Pirlo, non si sa se voluto o se trovato per strada. Ma è lo stesso Inzaghi a sgombrare i dubbi: «Il gol così è uno schema che provo in allenamento, Pirlo mi tira addosso e il pallone come una carambola finisce in porta (e giù una bella risata, ndr). Andrea è stato davvero bravo a centrarmi, ma tanto sapeva che mi sarei trovato sulla traiettoria. D’altronde gol simili li ho già fatti nel derby e contro l’Empoli, quindi non si tratta di casualità (e avanti con un’altra risata, ndr).
Uscito per ricevere la meritata standing ovation, Inzaghi ha però sofferto negli ultimi minuti: «Avevo ancora il brutto ricordo di Istanbul e mi sarei dannato se, dopo l’euforia del 2-0, gli inglesi ci avessero raggiunti. No, a una simile beffa non credevo, ma il Liverpool, lo sappiamo, è capace di tutto».
Ricorda poi le sue vittorie con la maglia della Juve, il suo passaggio in rossonero e la tribolata stagione di due anni fa, quando restò a lungo in tribuna perché infortunato. «Proprio in quei mesi ho capito cosa significa essere del Milan. La società, i compagni, i tifosi mi sono sempre stati vicino, ecco perché da qui non voglio proprio andare via. In rossonero un giocatore è stimolato a rendere di più e io ci sono riuscito. Ho 34 anni? Poco importa se poi riesco a fare due gol così, ma ormai ho deciso: nel Milan voglio chiudere la carriera». Dimenticato anche l’infortunio che quest’anno l’ha bloccato tenendolo fuori a lungo. «Nessun problema con Ancelotti, ero ko e giustamente mi lasciava fuori. Ma intorno a me ho comunque sentito tanta fiducia».
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