Siena - Celebriamo come si deve Filippo Inzaghi e la sua montagna di gol su cui da ieri sera scintilla la bandierina con un numero enorme. Sono trecento, sono tutti giovani e forti, racchiusi dentro il bozzolo di una carriera da fuoriclasse dell'area di rigore lunga 17 anni ormai. Singolare la coincidenza: il suo primo squillo, da centravanti del Leffe, maturò contro il Siena. Nello stadio toscano adesso intitolato ad Artemio Franchi, quel ragazzino cresciuto, diventato uomo e bomber dei due mondi, passato attraverso Parma e Atalanta, Juventus e Milan, ne scodella altri due: il primo con una stoccata sotto porta, su calcio d'angolo di Beckham, il secondo dettando il passaggio a Pirlo e trovando l'angolino scoperto sull'uscita dell'acerbo Curci. Raccontando di Inzaghi, Mondonico che ne fu uno dei maestri, coniò una definizione splendida: «Non è Inzaghi che si è innamorato del gol, è il gol che si è innomorato di Inzaghi». È stato un amore sincero e spudorato, travolgente, declinato in tutti i modi, con ogni fattura che dura da 17 anni alimentato dalla sua voglia sanissima di calcio e dall'abilità nel ritagliarsi ambizioni e traguardi sempre più complicati, arditi. Così si spiegano quei 300 gol festeggiati con la maglietta celebrativa.
Un'orgia di gol e qualche cattiva notizia per il Milan. Sembra lanciato verso il terzo posto ma si ritrova, ogni settimana, con un tormento in più, un ritardo imprevisto. Neanche il tempo di festeggiare il centro dal dischetto di Pirlo che Abbiati, il portiere rinato giusto in tempo per parare il tramonto di Dida, deve arrendersi a un banale accidente al ginocchio destro e avviarsi, con le mani sul volto per il dolore, verso un probabile intervento chirurgico. Passi se nel frattempo il Milan grazie a quel genio di Pippo mette in cassaforte il successo in terra toscana e più avanti, con la collaborazione di Pato, sotterra Curci con una valanga di palloni. Il sorriso provocato dal suo epico record resta a metà, sostituito da una smorfia di preoccupazione. In tribuna, Adriano Galliani, col volto terreo, interroga i suoi collaboratori per conoscere l'esito dei primi riscontri clinici su Kakà. Già, neanche il tempo di tirar fuori dalla valigia del massaggiatore la maglietta celebrativa preparata in onore dei 300 sigilli di Filippo Inzaghi ed ecco Riccardo Kakà, con la faccia della retrocessione, ridiscendere gli scalini dello stadio di Siena al culmine di un ritorno troppo breve per non destare qualche rimorso. Resa inevitabile per via di un colpo alla caviglia che interrompe la sua performance (nulla di preoccupante si saprà in serata) e consente a Ronaldinho di riscaldare i cuori dei tifosi e di Pato con un cioccolatino che serve a confezionare il largo 5 a 1.
Gioie e dolori, sembra la sintesi perfetta di questa stagione del Milan, mai decollata in modo autorevole, depressa in continuazione dall'inconstanza dei risultati e dall'interminabile rosario degli infortuni, uno dopo l'altro. Adesso anche Abbiati. Già perché l'esibizione ieri di Dida è servita a far rivedere qualche fantasma del recente passato: le incertezze nelle uscite aggiunte a parate poco convincenti. Per fortuna sua, la goleada rossonera ha nascosto le briciole sotto il tappeto del 5 a 1. Che è una specie di mistero glorioso se si pensa ad esempio del comportamento tenuto dalla difesa di Giampaolo fino a ieri: appena 7 le reti subite nelle sfide domestiche. Più rassicuranti le notizie sul conto di Kakà e della sua caviglia sinistra maltrattata da un contrasto brutale.
L'apparizione di Ronaldinho non contribuisce a rasserenaregli animi: gioca da fermo, gli basta per lanciare la freccia Pato, serve altro per tornare utile al Milan di questi giorni, con troppi cerotti e tanti gol a disposizione da spargere da qui alla fine del torneo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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