Il superstite di Mani pulite con il chiodo fisso del Cav

MilanoFa una certa impressione sapere che è ancora lì, sulla prima linea della guerra a Silvio Berlusconi. Rispetto agli anni roventi di Mani pulite, Fabio De Pasquale si è fatto crescere baffi ottocenteschi. Gli altri hanno cambiato vita: Antonio Di Pietro cerca di tenere uniti i pezzi dell’Italia dei valori, Francesco Saverio Borrelli guida il Conservatorio e Gherardo Colombo è sul ponte di comando della Garzanti. Fabio De Pasquale passa le sue giornate a duellare con gli avvocati del premier, spiega che il Cavaliere non può dettare l’agenda alla Procura, invita il capo del governo ad andare prima in aula e poi alla Fao. In uno slalom infinito fra impegni istituzionali e appuntamenti giudiziari.
È come se il tempo si fosse fermato. Anche Alfredo Robledo, napoletano estroverso e colto, ha lasciato le indagini e i processi anti Cavaliere: il caso Mills, l’affaire dei diritti televisivi, Mediatrade. Divergenze con De Pasquale e bye bye. Lui no, è ancora lì a tenere viva la fiammella dell’antiberlusconismo militante. E il duello, come in un celebre racconto di Conrad, si rinnova di episodio in episodio, di contestazione in contestazione, di aggiornamento in aggiornamento della prescrizione. Il tempo che non passa, le polemiche che riesplodono puntuali, la guerra che alimenta la cronaca quando i primi capitoli, a cominciare dall’avviso di garanzia del novembre ’94, sono già entrati nei manuali.
Se quella storia va avanti è perché c’è sempre lui. Impossibilitato ad uscire dalla trincea. Come un soldato senza congedo. Forse perché non ci sono alternative o perché piano piano gli altri si sono defilati o perché il tempo gli vuole restituire quella ribalta che altri gli portarono via negli anni ruggenti del Pool.
Allora, il siciliano De Pasquale non entrò nella foto ufficiale dei pm anticorruzione. Era ai bordi di quella formazione. Un giorno un suo imputato, il commercialista Aldo Molino, si consegnò a Di Pietro, un Di Pietro che entrava e usciva da tutte le inchieste col sistema dei vasi comunicanti, e De Pasquale s’incavolò. Ci furono urla e sguardi infiammati. Fra i due non correva buon sangue: De Pasquale non voleva certo rubare i riflettori al Tonino nazionale ma nemmeno vedersi portare via i fascicoli su cui stava lavorando. Invece gli capitò. Fu scontro. Duro. Plateale.
Nell’estate ’93 si trovò sulle prime pagine, ma per una vicenda di cui avrebbe fatto volentieri a meno: il presidente dell’Eni Gabriele Cagliari si suicidò in cella, infilando la testa in un sacchetto, e il suo avvocato, Vittorio D’Aiello, puntò il dito contro il pm che, in sostanza, avrebbe promesso la libertà all’imputato e poi avrebbe cambiato idea. Ci furono inchieste, articoli, contestazioni, poi ciascuno si tenne la propria versione e il dramma scivolò in archivio.
Era un’altra epoca. Negli stessi giorni, in una città divorata dalle indagini e mangiata dai sospetti, si uccideva anche Raul Gardini. Nulla era più certo, un sistema di potere scricchiolava e i pm mitragliavano la classe dirigente: De Pasquale otteneva l’arresto del socialista Francesco Colucci, inquisito per i corsi di formazione Cee, Colucci arrivava in piena notte in barella al comando della Guardia di finanza, fra il crepitio dei flash. E sempre De Pasquale chiedeva l’autorizzazione a procedere contro un poker di parlamentari: due liberali e due repubblicani. Ma il Parlamento rispondeva no. Quattro no. Storie ormai lontane.
Come la requisitoria contro un mito del nostro teatro, Giorgio Strehler, messo in croce per la gestione del Piccolo Teatro, e assolto con formula piena dal tribunale. Oggi De Pasquale combatte ancora ed è rimasto attaccato alla presunte ombre del premier. Perfino Ilda Boccassini, conclusa la lunga stagione dei processi legati a Cesare Previti, sembra aver cambiato temi e registri. Lui no, è incollato a quelle accuse, a procedimenti poco spettacolari e, a parte le recenti polemiche su Mills, poco noti. Insomma, è una specie di pm personalizzato. Il personal pm, così come esiste il personal trainer.

Forse, anche lui vorrebbe cambiare, vorrebbe sperimentare altro, vorrebbe concentrarsi altrove, ma gli tocca andare avanti, tenere la posizione, imbastire la querelle. E giocare la parte, scomoda, dell’ultimo pm d’Italia che dedica, volente o nolente, gran parte del tempo al premier. È il futuro che rincorre il passato.

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