Politica

Svegliarsi con il terrore del Vesuvio

La notte del 6 aprile, anche Napoli ha tremato: per il terremoto (avvertito soprattutto ai piani alti delle case, e in collina) e per la paura. La paura che potesse ripetersi la tragedia dell’80 (circa tremila morti in Campania) e la paura che quella scossa fosse il preludio all’eruzione del Vesuvio. Il Vesuvio, la nostra atomica.
A centinaia si sono riversati nelle strade, molti hanno trascorso la notte in auto. L’indomani, in tanti hanno riempito il serbatoio, temendo la necessità di lunghi spostamenti; molti si sono messi in fila davanti ai bancomat (costringendo le banche a rifornimenti fuori programma), supermarket sono stati presi d’assalto.
Tutto pur sapendo che l’epicentro del sisma era lontano.
È che Napoli vive la psicosi del terremoto dal 1980, ma ancor più dell’eruzione del Vesuvio, il cui risveglio - secondo gli esperti - è sicuro, benché nessuno possa indicarne con precisione i tempi (secondo il professor Giuseppe Luongo, già direttore dell’Osservatorio Vesuviano, una data «possibile» è il 2050, altri parlano del 2020). Ma quale lo scenario in caso di eruzione? Diciamo innanzitutto che quasi certamente si tratterà di un’eruzione esplosiva: il gas e la forza energetica a lungo accumulati, saranno espulsi con forza. A essere maggiormente colpiti saranno, naturalmente, i diciotto comuni vesuviani, la cui popolazione assomma a circa settecentomila persone. Poi c’è Napoli, che di abitanti ne conta un milione (e la cui periferia dista solo 15 chilometri dalla vetta del cratere).
La scena che ne verrebbe sarebbe da fine del mondo: preceduta da scosse sismiche e sollevamento del suolo, l’eruzione sprigionerà dal vulcano una colonna di gas, cenere e materiale incandescente che si solleverà per chilometri sul cratere per poi ricadere sotto forma di pomice e lapilli. Il cielo si oscurerà, la colonna di cenere collasserà e dal cratere eromperanno gas che renderanno l’aria irrespirabile. Si creeranno le condizioni per uragani e maremoti, con fulmini, piogge e tuoni. Tutto il pianeta «risentirà» di questa esplosione. Non è da escludere che il fenomeno eruttivo si colleghi anche al risveglio del vulcano dei Campi Flegrei. Infatti, a trenta chilometri di profondità, i due vulcani si alimentano alla stessa fonte. Infine c’è l’isola d’Ischia, che di questa formazione vulcanica è la propaggine.
I vulcanologi affermano che «segni premonitori» di un risveglio sarebbero dati dal vulcano con largo anticipo (alcuni mesi), sì da consentire l’evacuazione della gente dai rispettivi territori. E qui sta il problema. Benché una legge del 1992 imponga ai Comuni vesuviani di pianificare la vita quotidiana dei residenti in funzione del rischio naturale, educandoli, informandoli, aggiornandoli, organizzandoli per una eventuale fuga, quasi tutti sono «fuorilegge». La gente non ha avuto gran che istruzioni in merito, non sa come e dove muoversi (mi diceva Oliviero Beha che alla domanda: «Lei come si comporterà in caso di scoppio del vulcano?», un vesuviano gli aveva risposto: «Non ne ho idea. Ma forse andrò a destra»).
Una popolazione impreparata, si farebbe cogliere dal panico anche senza eruzione del vulcano in atto. Ancor prima dei gas e della lava, sarebbero i comportamenti irrazionali a uccidere centinaia di persone. Se poi l’eruzione, contraddicendo tutte le previsioni, fosse improvvisa, le attuali condizioni di caos di quei posti, l’assenza di grandi vie di uscita (si pensi che nel comune di Pollena Trocchia - alle falde del vulcano - le due strade da utilizzare per l’evacuazione sono strette anche per il passaggio delle biciclette!) bloccherebbero circa un milione di persone, ed è facile immaginare le conseguenze. Anche la fuga via mare, al momento, è un problema. E faccio un solo esempio. I cinquantamila residenti del centro storico di Torre del Greco, in caso di eruzione, dovrebbero fuggire in Sicilia con i traghetti ancorati nel porto locale. Ma mi riferiscono che i fondali non vengono dragati da anni.
Come ricorda il professor Luongo, «il Vesuvio pone all’Italia il più grave problema di protezione civile che potrebbe trovarsi ad affrontare». Di fatto il Vesuvio, per essere il vulcano più popolato del mondo, ne è anche il più pericoloso. Portici, con una densità di 20mila abitanti per chilometro quadrato è seconda solo a Hong Kong. A Torre del Greco l’ospedale è stato costruito sopra un antico cratere; la chiesa di Santa Croce, per sette volte sepolta dalla lava, è stata ricostruita, e oggi è più alta del suo campanile (caso unico al mondo).
Sulle pendici del Vesuvio sono sorte città in gran parte abusive, e si continua a costruire.
Se non vogliamo contare i morti a centinaia di migliaia, è necessario avviare subito una campagna di sensibilizzazione della gente, basata su opuscoli da distribuire nelle scuole, spot televisivi, pubblicità sui giornali locali, assemblee pubbliche, conferenze eccetera (maggiore sarà l’educazione, minore sarà il tempo necessario per organizzarsi). Fermare le costruzioni nell’area vesuviana. Organizzare le arterie di circolazione lungo le quali le persone dovranno essere evacuate. Trasferire i servizi di prima necessità in aree di minor rischio.
Fino a qualche anno fa, viveva a Napoli una donna conosciuta come «la vecchina delle catastrofi»; una sorta di veggente che avvisava i campani dell’imminenza di un disastro. Nell’80, ad esempio, si appostò ai bordi della Napoli-Reggio Calabria per sconsigliare di entrare in città, perché stava per succedere qualcosa di grave.


Non sarà affidandosi a gente come lei che due milioni di napoletani si salveranno dal Vesuvio.

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