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Svolta nella laica Francia «Anche i feti nati morti hanno diritto a un nome»

da Milano

Chi l'avrebbe detto che sarebbe stata la laicissima Francia il primo stato a seguire il Papa nella legislazione a favore della vita, dei diritti dei nascituri e dei loro genitori. La svolta è in una sentenza della prima sezione civile della Corte di Cassazione transalpina che porta la data del 6 febbraio scorso: i giudici supremi hanno stabilito che tutti i feti nati morti potranno essere registrati all'anagrafe e avere un nome. Tutti, compresi quelli con meno di 22 settimane di gestazione. E indipendentemente dalla causa della morte: sia essa naturale sia provocata da un aborto terapeutico.
La sentenza è stata adottata dopo il ricorso di tre famiglie francesi alle quali, tra il 1996 e il 2001, fu rifiutato il diritto di registrare quelle nascite allo stato civile perché i bimbi non erano «vivi e vitali».
Una sentenza importante, forse storica. I genitori beneficeranno ora di diritti sociali come il congedo di paternità o maternità. Ma soprattutto potranno chiamare figlio quel fagottino, lo potranno trattare come una persona, gli daranno un nome e un'identità, e lo stato civile riconoscerà che quell'esserino è esistito.
Quel feto non sarà più un «no man's land» giuridico. Mamma e papà avranno il diritto di recuperarne il corpicino. Diranno addio a loro figlio durante una cerimonia funebre, e potranno dargli una sepoltura oggi impossibile: nella maggior parte degli ospedali francesi i feti morti prima della ventiduesima settimana di gravidanza vengono inceneriti assieme ai rifiuti delle sale operatorie.
Secondo la legge francese, dunque, il feto ha gli stessi diritti di un bimbo prematuro. Un principio rivoluzionario, che potrebbe addirittura rimettere in discussione la legge sulle interruzioni di gravidanza, anche se un giornale come Le Monde nega che tale decisione porterà a redigere una sorta di «statuto dell'embrione» in grado di mettere in dubbio un diritto all'aborto ormai acquisito.
Ma il dibattito è ripreso, e non solo Oltralpe. Le recenti parole di Benedetto XVI, secondo cui la vita deve essere «tutelata» e «servita» sempre «ancor più quando essa è fragile, sia prima della nascita che nella sua fase terminale», vengono rilanciate non da un pulpito religioso ma laico. Vengono fatte proprie non da un'autorità morale ma giuridica.
È la legge, il diritto positivo, che va a sostegno del diritto naturale e anche della scienza. Ora sarà un po' più difficile sostenere che gli interventi di papa Ratzinger o della Chiesa sono ingerenze indebite sulla legislazione laica. Sarà anche un po' più pretestuoso contestare (come ha fatto ancora ieri il ministro Barbara Pollastrini) il documento dei neonatologi sulla rianimazione dei neonati anche di pochissime settimane.

E riprenderà un po' più fiato anche la campagna internazionale che chiede una moratoria sull'aborto.

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