Il tabù dell’educazione sessuale

Il tabù dell’educazione sessuale

Marcello D’Orta

Apprendo che esperti ed organizzazioni scolastiche olandesi considerano l’educazione sessuale nelle scuole del Paese «antiquate», e lanciano il sito www.seksuelevorming.nl in direzione docenti elementari, allo scopo di facilitarne le lezioni. Le quali dovrebbero partire già in prima elementare, quando i bambini hanno solo quattro anni.
Nel 1993 pubblicai con Mondadori un libro il cui titolo taccio, per non farmi pubblicità. Si trattava di una raccolta di pensieri infantili sull'argomento sesso. Il volume evidenziava l'ignoranza in materia dei bambini napoletani, ma poi credo di quelli di tutta Italia. Ecco alcune perle:
Io sono nato incinto di sette mesi.
Quando ho mal di denti faccio gli orgasmi col Tantum verde.
Il rapporto sessuale dura nove mesi.
Quaranta giorni dopo il concepimento del figlio, fare l'amore non è più peccato.
Vergini significa essere illesi in quel posto là.
Ai giardini pubblici i fidanzati coprono i finestrini coi giornali e fanno l’amore ribaltando l’automobile.
Omosessualità è un uomo che la sera invece di andarsene a letto con la moglie se ne va con il marito.
Fratelli e sorelle non si possono sposare, madre e padri sì.
Maestro, che cos’è il sesso lo sapevo, ve lo giuro! Ma ora l’ho dimenticato.
Io, come escono i figli dalla pancia l’ho capito, è come entrano che non l’ho ancora capito.
Fu questa ignoranza ad indurmi a organizzare un breve corso di educazione sessuale in terza classe, corso che stava per spedirmi a Poggioreale (Poggioreale carcere). I fatti andarono così. Era mia abitudine incontrarmi con qualche alunno anche in orari extrascolastici. Li portavo a visitare musei, biblioteche pubbliche, siti archeologici, o semplicemente in giro per Napoli, città che molti di loro non conoscevano (ho infatti insegnato sempre in periferia). Ora capitò che un giorno - alcune settimane dopo l’inizio del mio corso - diedi appuntamento sotto scuola ad un allievo, per portarlo a visitare, mi pare, Castel dell’Ovo. Il ragazzo non si presentò all’appuntamento, e il giorno dopo seppi che la mamma era andata al commissariato di polizia con l’intenzione di denunciarmi per «adescamento». Fortuna volle che l’ufficiale di turno fosse il papà di un mio ex allievo, il quale conosceva bene e apprezzava la mia pedagogia. E così l’equivoco fu chiarito.
Da quelle parti i genitori lasciavano i figli nella pressoché totale ignoranza in materia di sesso, e allora toccava alla scuola rimediare. Ma i bambini avevano vergogna a porre domande, e allora mi affidavo a biglietti anonimi. Da questi biglietti veniva fuori una confusione e una mancanza d’informazione allarmante. Uno scolaro scrisse: «Ma come si dice sesso in Vaticano?», un altro «Mio padre è disoccupato e non se ne intende di sesso», e poi «I monaci fanno voto con la cintura di castità», «Mia zia è stata in gravità solo otto mesi», «Se una donna ha le morroidi allora vuol dire che è incinta». Per fortuna c’erano anche frasi argute: «Ai tempi medioevali le donne portavano una cintura di castità a chiave. Se si apriva quella chiave, le donne medioevali erano uguali a quelle attuali»; «In Arabia si divorzia pochissimo perché, essendo che le donne arabe hanno il velo, un uomo sa quello che lascia e non sa quello che trova».
Questa realtà non riguarda solo il Sud d’Italia. Parlando in generale, il sesso è una patata bollente che i genitori passano all’insegnante e gli insegnanti ripassano ai genitori. Alla fine il bambino ha una mezza informazione sull’argomento, oppure finisce col dare un significato negativo all’amore fisico. In una società impregnata di sesso sbandierato ai quattro venti, e spesso in maniera distorta e violenta, chi dovrebbe riportare l’argomento sui binari di un franco naturalismo, non riesce a trovare le parole giuste da dire ai figli (ricordate il famoso sketch di Gigi Proietti, quello in cui il grande istrione interpretava un genitore incapace di nominare gli organi sessuali?), si perde in cincischiamenti, mezze frasi, balbettii che finiscono col confermare nei ragazzi il senso del proibito. Al più, nel caso di adolescenti, li si avverte di «stare attento all’Aids» se si tratta di un uomo, o di badare bene a «non rimanere incinta» se donna.
Fa dunque benissimo l’Olanda a porsi il problema, ma sbaglia i tempi d’intervento. A quattro anni è prematuro informare i bambini della realtà sessuale, non ne vedo proprio la necessità, e poi non capirebbero.

Questo mio pensiero è confermato dalle risposte che i piccoli olandesi hanno dato ai maestri subito dopo aver appreso di spermatozoi, ovuli e mestruazioni: «Fare figli fa proprio schifo!».
Figuriamoci se sapessero di omosessuali e di trans.

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