Tamara de Lempicka: resiste il «mistero» di un'artista molto conosciuta

Roma celebra la pittrice di origine polacca che ha spaziato con maestria dal cubo-futurismo all'art déco. Dall'11 marzo al 10 luglio al Complesso del Vittoriano ottanta dipinti provenienti da musei e collezioni private (tra cui quella di Jack Nicholson)

La migliore definizione di Tamara de Lempicka la offrì proprio sulle pagine del «Giornale» il critico Elena Pontiggia, secondo la quale la contessa polacca è «un'artista che molti conoscono benissimo, anche senza sapere esattamente chi sia». La sua fama è dovuta principalmente a due fattori: da un lato l'assoluta fedeltà a una cifra affatto personale e perseguita con costanza lungo tutto l'arco della sua carriera; dall'altro c'è la sua vita tormentata e turbolenta che ne ha fatto di lei un personaggio letterario prima ancora che una persona reale. Oggi si torna a parlare della «regina del moderno», visto che dal prossimo 11 marzo il Complesso del Vittoriano di Roma ospita un'esposizione dei suoi lavori.
La mostra, curata da Gioia Mori, presenta ottanta dipinti e una quarantina di disegni di Tamara de Lempicka, che ripercorrono il suo cammino artistico. Le opere sono affiancate altrettante foto d'epoca - alcune delle quali inedite - che documentano il «personaggio» Tamara, ritratta quasi sempre come una diva del cinema muto.
Tamara de Lempicka fu un'artista di grande cultura figurativa, abituata a mescolare rimandi all'arte del passato con le poetiche artistiche del primo Novecento (cubo-futurismo russo e francese e realismo magico tedesco). Un coacerrvo di suggestioni rielaborate in modo originale fino a creare una «lingua» nuova dai caratteri accattivanti, decorativa forse, ma affatto moderna, che nasce dalla commistione di arti diverse: la fotografia di moda, il manifesto pubblicitario, il cinema. Fino a fare di lei l'artista più nota del Déco.
La mostra ospitata fino al 10 luglio al Complesso del Vittoriano esplora il percorso della Lempicka dagli esordi al 1957, l'anno in cui venne ospitata a Roma una sua personale nella galleria Sagittarius, e diventerà imprescindibile per una considerazione corretta del percorso artistico della Lempicka: questo, grazie soprattutto al ritrovamento di alcune importanti opere degli anni Venti finora considerate perdute, al reperimento di importanti fonti documentarie che permettono di ricostruire esattamente le presenze espositive della Lempicka tra il 1922 e il 1957 e la risposta della critica dell'epoca, di capire la sua strategia di comunicazione in Europa e negli Stati Uniti.
La sua storia inizia in Polonia, dove nasce nel 1898, ma la seconda patria è la Russia, da dove fugge poco dopo la Rivoluzione per riparare a Parigi. In Russia vive due rivoluzioni: quella della Storia, di cui fu una vittima, e quella artistica delle avanguardie cubo-futuriste. La Lempicka a Parigi rimase in contatto con molti personaggi dell'emigrazione russa, e ha immortalato alcuni di loro in dipinti ormai icone degli anni Venti: il Portrait du prince Eristoff (1925) e il Portrait du grand-duc Gabriel Constantinovic (1926), per esempio, mentre in due nature morte del 1924 - Nature morte au poupée russe e L'oiseau rouge - manifesta un sentimento di dolce nostalgia per la terra abbandonata.
A Parigi studia Ingres e il frutto di questo lavoro è una purezza di linee, dalla resa scultorea della figura. A documentare questa fase del suo percorso, una «Maternité» del 1922, mai esposta, alcuni nudi come il «Nu assis» e «La dormeuse» del 1923, fino a un capolavoro della fase ingresiana, il «Portrait de la duchesse de Valmy» (1924) mai più esposto in nessuna mostra dal 1925.
Il rapporto della Lempicka con l'arte italiana degli anni Venti è a tutto campo, e un nuovo documento recentemente rintracciato da Gioia Mori lega la Lempicka ai futuristi, un'intervista fatta all'artista nel 1929 da Francesco Monarchi, firmatario del Manifesto futurista del Cappello Italiano, in visita presso lo studio dell'artista insieme a Prampolini. In mostra è presente il Portrait du marquis Sommi (1925), il musicista futurista che in quegli anni lavorava con Prampolini, probabile legame tra la Lempicka e l'artista italiano.
Il successo arriva inarrestabile e diffuso per mezza Europa e in America nella seconda metà degli anni Venti, con premiazioni, riconoscimenti critici e vertiginose vendite. Con i ritratti della figlia Kizette Tamara ha la maggior parte dei premi ufficiali, tra i quali l'acquisto da parte del Musée des Beaux-Arts di Nantes di Kizette en rose.
Una serie di dipinti intriganti, ambigui e "perversi" come i duetti saffici indicano un altro elemento della modernità della Lempicka: l'esibizione da parte di una donna emancipata economicamente, indipendente e libera dei costumi trasgressivi che caratterizzano Parigi negli "années folles". In questo, la Lempicka ha lo stesso atteggiamento di André Gide, che ritrae intorno al 1925 in un dipinto qui esposto. L'avvenente Rafaëla fu uno dei grandi amori della Lempicka, cui dedicò nel 1927 una serie di tele di grande tensione erotica. Per la prima volta, sono qui esposte tutte insieme: «La tunique rose», «La belle Rafaëla», «Le rêve», «La belle Rafaëla en vert» e «Nu couché au livre».
Ma, oltre a una vita «glamour» e mondana, la Lempicka aveva un intenso lato spirituale, una religiosità e un'attenzione agli umili che si esprime in opere realizzate contemporaneamente a quelle considerate più intriganti, fin dai primi anni Venti. Santi, Madonne e suore, donne di campagna, mendicanti e vecchi, un'umanità fragile che racconta il lato meno noto della Lempicka, che prima di essere uno degli artisti più pagati di Parigi fu una profuga di guerra, che durante gli anni del successo espose anche per raccogliere fondi per la Croce Rossa, e che durante il soggiorno hollywoodiano si impegnò nella raccolta di fondi per la Polonia invasa. In questa parte del percorso, alcune opere mai esposte, tra cui «Saint-Jean Baptiste» del 1936.
Negli Stati Uniti la Lempicka arriva nel 1939 con il secondo marito, il barone ebreo Raoul Kuffner. Donna di comunicazione, si annuncia al mondo di Hollywood mettendo in atto una strategia da ufficio stampa allora praticata solo dai divi del cinema. In pochi mesi diventa una protagonista della vita mondana di Beverly Hills. Eccentrica ed esotica, è chiamata «baronessa col pennello», e le cronache sono ricche di aggettivi per commentare la sua vita sontuosa. Le sue mostre, però, spesso sollevano critiche feroci. I soggetti sono nature morte, interni di case di campagna, dipinti "omaggio" ad artisti del Rinascimento italiano e fiammingo.

Un ritorno a un antico rassicurante, e una nuova svolta della sua pittura che conosce anche ammiratori straordinari, come Salvador Dalí.
Tra le curiosità di questa nuova mostra anche la provenienza di alcune tele. Cinque opere, infatti, provengono dalla collezione privata di un ammiratore della Lampicka: l'attore Jack Nicholson.

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