Sono solo pochi centesimi, forse anche meno. Impilati uno sullaltro, fanno però 236 milioni di euro che servono a dare un po dossigeno al Fondo unico per lo spettacolo (Fus). Trattasi di cultura, insomma: da nutrire, come ha deciso il governo con un recente decreto, con il sondino dellaumento delle accise sui carburanti. La misura è di quelle evergreen, buona per tutte le stagioni e tremendamente efficace, non fossaltro perché neppure il più incallito degli evasori può sfuggirvi, se non andando a piedi.
Tutto bene? Non proprio. I problemi sono almeno tre. Il primo: limposta, che si va a sommare alla teoria di balzelli già caricati su benzina e gasolio, renderà ancora più ingente il prelievo fiscale. Il secondo: con le rivolte in Nord Africa, le quotazioni del petrolio sono in tensione e suscettibili di ulteriori rincari destinati ad arrivare fino alla rete carburanti, dove la benzina ha superato gli 1,6 euro il litro. Un inasprimento fiscale su verde e diesel rischia dunque di appesantire una crescita peraltro già poco brillante, con ripercussioni anche sul versante del gettito fiscale. Infine, la misura sembra ammettere implicitamente limpossibilità di trovare ulteriori spazi di razionalizzazione della spesa pubblica. Questi tre spunti problematici riassumono lanalisi ben più articolata con cui Filippo Cavazzoni e Carlo Stagnaro, dellIstituto Bruno Leoni, motivano la richiesta di ritiro del decreto, anche per incentivare lavvio di una riforma del settore culturale.
A scorrere le cifre contenute nel rapporto, la prima sensazione è quella di un dejà vu. Il peso delle accise, infatti, è andato di anno in anno aumentando. LItalia si ritrova infatti a essere tra i Paesi europei con le accise più salate, soprattutto se si tiene conto del Pil pro capite. Con laggravante, spiegano gli autori del report, che questo crescendo è servito per finanziare voci di spesa «del tutto scorrelate» rispetto allauto come il contratto degli autoferrotranvieri, oppure la sostituzione di tram e autobus.
Ma ciò che più fa storcere il naso a Cavazzoni e Stagnaro è proprio la decisione di sostenere la cultura con un aumento della pressione fiscale. Lanalisi, considerando anche le risorse per il tax credit per il cinema, la missione libica e e il nuovo contratto delle forze dellordine, stima in 400 milioni il fabbisogno complessivo. Ciò si potrebbe tradurre in un rincaro di 0,9 centesimi il litro se la misura venisse ripartita in modo omogeneo tra benzina e gasolio. A questa cifra andrebbe poi aggiunto il 20% di Iva, per un totale di 1,1 centesimi. Attualmente, la tassazione sui carburanti garantisce un gettito di quasi 22 miliardi, ma «laspetto più stupefacente», spiega lo studio, è che questi 400 milioni costituiscono appena lo 0,06% di una spesa pubblica corrente superiore a 684 miliardi. Era proprio impossibile reperire qui i fondi per il Fus? Così, gli autori si pongono due domande: «Le risorse assegnate alla cultura sono davvero necessarie? E sono gestite in maniera efficiente?».
Sul secondo interrogativo, la risposta data dallIstituto Bruni Leoni è un «no» senza riserve, per quanto ben motivato. «Un limite del nostro patrimonio è proprio quello di non rendere come potrebbe in termini economici», spiega lanalisi. Colpa di un sistema ingessato. E una struttura burocratizzata, alla quale sono necessari 19 mesi per programmare e affidare lavori di conservazione del patrimonio, è la causa della tendenza a creare residui passivi. Non a caso, alla fine dellanno scorso le sovrintendenze speciali avevano una disponibilità finanziaria pari al 55% delle entrate. «È innegabile allora - si legge nello studio - come sia da affrontare la questione legata alla capacità di spesa del ministero, prima ancora di pensare a stanziare nuove risorse per i beni culturali». Ma un altro passaggio irrinunciabile è quello che riguarda la creazione «di incentivi per rendere le istituzioni culturali meno dipendenti dal finanziamento pubblico». Ora come ora, il sostentamento dei privati è marginale. Basti pensare, per esempio, che il loro contributo nel 2008 alle Fondazioni lirico-sinfoniche è stato appena del 6,7%.
Al tirar delle somme, la sentenza pronunciata da Cavazzoni e Stagnaro è una sola: il provvedimento va ritirato, in modo da non aumentare la pressione fiscale sui carburanti «in un momento di forte tensione sui prezzi» e per favorire una riforma del mondo della cultura.
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