Tassare i risparmi sarebbe un danno anche per le imprese

Puntuale come un treno svizzero anche quest’anno si è aperto con il consueto consiglio fraudolento di Repubblica che, con i suoi economisti d’area, ha ritirato fuori la solita sciocchezza di «consigliare» al governo di aumentare la tassazione sui risparmi. Niente di nuovo, per carità, la cosa che se mai leggermente inquieta è piuttosto un certo silenzio da parte della maggioranza che potrebbe essere letto come un voler considerare la cosa. L’idea malsana di mettere le mani sui risparmi, invece, non dev’essere affatto considerata, per tanti motivi che cerchiamo di illustrare con la massima chiarezza.
Innanzitutto è aberrante considerare il reddito da risparmio in concorrenza con il reddito da lavoro: i risparmi sono tali, infatti, proprio in quanto residuo dalla tassazione del lavoro e dalla spesa necessaria per vivere (gravata dalle imposte indirette tipo Iva), pertanto tassarli ulteriormente significherebbe scivolare nel mondo della doppia e tripla imposizione. Dato che si è fatto meritoriamente un passo avanti per uscire da queste storture eliminando la tassa sulla prima casa (un’altra forma storica di risparmio degli italiani) non pare il caso di farne uno indietro con i risparmi.
Il punto centrale, poi, è un altro e deve essere spiegato bene perché è una sottigliezza economica che può ingannare: partiamo infatti dal presupposto che chi accarezzi la sciagurata idea di alzare le tasse sui risparmi intenda farlo solo sui titoli di nuova emissione, perché altrimenti sarebbe una tassa patrimoniale pura e semplice (nonché un tradimento di promessa scritta agli acquirenti di titoli e obbligazioni) e queste cose meglio lasciarle fare a Bertinotti. Ebbene, è evidente che a un risparmiatore interessi il rendimento netto del suo investimento, non il lordo: quale che sia il tasso di partenza se il netto non arrivasse a un livello appetibile le nuove obbligazioni non verrebbero sottoscritte. Qui sta il punto: lo Stato può forse permettersi di pagare interessi più onerosi sui suoi titoli di debito (i Bot e gli altri titoli di Stato) perché tanto li recupererebbe con la maggior tassazione, viceversa per un’impresa che desiderasse finanziarsi emettendo un’obbligazione si tratterebbe di un aggravio puro e semplice, proprio in un momento in cui non si sente il bisogno di colpire le fonti di finanziamento delle imprese. Non si scappa: una grande azienda può cercare di procurarsi i capitali in tre modi: prendendoli in prestito dalle banche, cercando nuovi soci con un aumento di capitale azionario o chiedendo un prestito al pubblico con l’emissione di obbligazioni. La strada delle azioni è quasi sbarrata perché i risparmiatori sono fuggiti da tempo dalle borse; il credito da parte delle banche non è certo di facile accessibilità dato che l’imperativo delle direzioni è ancora quello di concedere prestiti con la massima prudenza. Rimane come ultima via di uscita proprio l’emissione di obbligazioni, ed è proprio grazie a questo canale che molte imprese sono riuscite a recuperare le risorse necessarie anche nel momento più nero della crisi. Vi hanno fatto ricorso nomi chiave per la nostra economia, come Finmeccanica, Fiat, Enel, le stesse banche (che così si procurano la provvista per erogare credito), fino a società insospettabili come Campari. Dato che buona parte di questi titoli trovano come sbocco naturale il mercato domestico, un aggravio della tassazione sui risparmi si tradurrebbe in una penalizzazione ai finanziamenti alle imprese. Non esattamente un risultato di cui vantarsi.
È pretestuoso, poi, argomentare che altri Paesi abbiano aliquote sui risparmi più alte della nostra: innanzitutto sarebbe il caso che noi inseguissimo gli altri negli aspetti virtuosi, non in quelli deteriori, e il risparmio degli italiani è stato un fattore decisivo per la resistenza del nostro Paese di fronte alla crisi. Va considerato inoltre che, come ci sono tassazioni più alte all’estero, ci sono anche quelle più basse, e i grandi capitali ci mettono pochissimo a scappare dove conviene, nella rete rimarrebbero i soliti piccoli risparmiatori, che hanno passato sin troppe disavventure.


Insomma, gli stessi che si stracciano le vesti in difesa della Costituzione non si fanno problemi a passare sopra all’articolo che prevede la tutela del risparmio, senza contare che penalizzando l’impresa si colpisce in ultima istanza proprio il lavoro. Ci aspettiamo a questo punto una parola definitiva dal governo.
Non occorrono lunghe risposte, un «Nessuno toccherà i risparmi» può bastare.

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