Tav, ruspe bloccate I ribelli della Val di Susa vincono il primo round

A Venaus 10mila dimostranti fermano i lavori. Tensioni con le forze dell’ordine, oltre 1000 agenti di rinforzo. I valligiani: faremo di tutto per impedire il traforo

Gabriele Villa

nostro inviato a Venaus (Torino)

Per i boschi, l’unica è passare per i boschi. E camminare a passo spedito, su un lenzuolo di rami e neve, per non sentire il freddo. E quel vento gelido che lancia le sue staffilate di benvenuto. Per i boschi, quelli tra Giaglione e Berno, come facevano quassù in Val di Susa, partigiani e no, quando volevano darsi alla macchia.
Solo che ieri, questi boschi, già entrati a tempo debito nella storia, erano particolarmente affollati: cinque, fors’anche diecimila persone. Tutte con i medesimi obbiettivi in testa: presidiare, impedire, fermare. E vincere. Vincere almeno un round di una battaglia persa in partenza. Portare a casa una tregua, un rinvio, una impasse. Parola d’ordine quindi, dopo la marcia in ordine sparso tra gli alberi, ritrovarsi uniti nel vallone degli espropri a difendere la propria terra. Dopo una lunga notte trascorsa all’addiaccio o in ripari di fortuna, i gazebo messi a disposizione dalla Pro-Loco o nella sala consiliare del Comune, lasciata aperta dal sindaco di Venaus, Nilo Durbiano. Pentoloni del tè che sorreggono il popolo no-Tav, nell’ultima disperata impresa impossibile: fermare il progresso, ovvero i tecnici del Consorzio Ltv, Lyon-Torino che, nel calendario dei passaggi obbligati per arrivare in tempo a realizzare la linea ferroviaria ad alta velocità ieri a Venaus avrebbero dovuto scavare un cunicolo esplorativo lungo una decina di chilometri. E aprire, in buona sostanza i cantieri. Il punto di partenza per non perdere, prima ancora che il treno della supervelocità, quello dei finanziamenti europei al progetto ambizioso di collegare, tramite l’ormai famoso corridoio 5, l’Ovest dell’Europa con Kiev. Invece: stallo, più che tregua. Anche se, particolare che ai più è sfuggito, ieri, mentre si strillava, la cooperativa muratori e cementisti di Ravenna, incaricata di eseguire i lavori del tunnel esplorativo prendeva possesso di sei appezzamenti dell’area del cantiere, su un totale di un’ottantina. Un atto burocratico ratificato dalla firma da parte dei proprietari dei terreni o come prevede il decreto di occupazione temporanea, da due testimoni. Nel frattempo tutti alla macchia, sparpagliati. Ad alzare gli striscioni, a battere i piedi per il freddo. E i tamburi per far risuonare la protesta (tipo: «al ponte del Seghino, non passa il celerino. Se arriva con l’affanno picchetta con l’inganno»). Fino in cima, fino ai cordoni di sicurezza che bloccavano tutte le strade d’accesso a Venaus. Tutte tranne i troppi sentieri dei boschi, appunto. Buoni affari per la paninoteca ambulante Rewind: parcheggiata in posizione strategica, appena dopo il primo blocco di polizia, all’inizio della strada che per tre chilometri serpeggia fino al vallone del presidio, spara ciabatte al salame come proiettili, una dopo l’altra.
La lunga giornata che segue la lunghissima notte all’addiaccio, comincia di buon’ora, quando il sindaco Durbiano dà inizio al consiglio comunale aperto e i manifestanti tentano di benedire a loro modo i tecnici della Ltf. Le forze dell’ordine schierate, fanno da cuscinetto e volano soltanto insulti e qualche spintone. Alta tensione più che alta velocità. Soprattutto quando atterra un elicottero del 118 per trasportare in ospedale un dimostrante colto da malore. Alta tensione, che fa perdere il buonsenso, quando sulla strada principale per Venaus gruppi di manifestanti alzano barricate con legna e grate di ferro per impedire il passaggio dei mezzi e il cambio di turno delle forze dell'ordine e un gruppo di no global si mette a lanciar pietre. Servono rinforzi e arrivano mille agenti in più. Dietro ad una delle barricate si piazza proprio il temporaneo capo del popolo no-tav, Antonio Ferrentino che, rispondendo in modo curioso a Ciampi («Il presidente ha ragione, allora rinnoviamo la Torino-Lione che c’è già») tratta coi manifestanti per convincerli a fare passare i militari. Gran parte di quella gente in divisa è qui, su due piedi, da dodici ore. Finanzieri, poliziotti, carabinieri sono costretti a scaldarsi accendendosi piccoli falò. La trattativa, estenuante, va avanti per ore: «Siamo disposti a consentire il cambio di turno delle forze dell'ordine - annuncia Ferrentino nell’intervento al consiglio comunale aperto di Venaus - ma vogliamo che l’apertura del cantiere venga rinviata. Faremo di tutto per evitare prove di forza».
Sono da poco passate le 14 quando viene rimossa la principale barricata, sulla strada provinciale che da Venaus porta a Novalesa, e i mezzi della polizia possono uscire dal cantiere. Ma il vallone Cenischia e l’area di Venaus resteranno presidiati, tra canti e balli, per un’altra notte. Anche se molti, moltissimi, quando cala il buio e fa ancor più freddo, sciamano verso altre destinazioni.

Esulta uno dei manifestanti che ieri si è messo più in luce, Giorgio Airaudo, segretario generale della Fiom torinese: «I politici, soprattutto del centrosinistra, devono uscire dalle stanze e venire in Val Susa a discutere con questa gente. Oggi i valsusini hanno dato un'altra dimostrazione di forza, democrazia e civiltà, respingendo quello che vivono come un sopruso».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica