Te la dà lui la politica

È difficile negare che la satira tradizionale sia morta all’incirca nel 1994, assieme alla Prima Repubblica e nell’eterna attesa di una Seconda: quando, ossia, il mitico settimanale Cuore fu reso obsoleto dalla realtà. Ormai c’erano quotidiani con titoli simili («Primo Greganti, Secondo Occhetto» aprì l’Indipendente) e c’era soprattutto uno scenario politico ormai aperto a tutto e con piazze mediatiche infinite: in politica non c’erano più veri re, ma i nuovi arrivati erano comunque nudi. Di lì in poi non solo i giudici, ma anche i giornalisti e altre categorie accrebbero il proprio status: nondimeno i comici. Non ascese il loro potere, discese quello politico. L’elenco dei satiri, pronti a gridare al complotto ogni qualvolta non gli rinnovassero il contratto, è molto lungo: ma i nuovi comici come i vecchi, fossero Benigni o Celentano o Grillo, è noto chi li abbia frattanto coltivati in chiave anti-berlusconiana.

In questo humus è maturato il genere comico ma comiziante, satirico ma tribunizio, giullaresco ma requisitorio, laddove ogni onnipotenza diventa missione salvifica, ogni disturbo narcisistico una sindrome da persecuzione cilena. Ora Berlusconi è all’opposizione. Il mostro si rivolta verso il suo creatore.

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