Scienze e Tecnologia

Super Mario Bros, i suoi primi 40 anni

Apre a Osaka un parco a tema dedicato all'idraulico coi baffi

Super Mario Bros, i suoi primi 40 anni

Avete provato il salto impossibile nel vuoto? E a usare il guscio di una testuggine come arma contro i nemici? E a distruggere a pugni grossi blocchi di mattoni? No? Allora non avete mai giocato a Super Mario Bros! E vi siete persi, fidatevi, una storia unica. Che ora potete vivere di persona in un parco a tema che ha aperto i battenti alle porte di Osaka, in Giappone, dedicato interamente ai baffi più famosi del mondo. Ma andiamo con ordine e vediamo com’è iniziata questa storia incredibile. La prestigiosa rivista americana Time lo ha incoronato nel 2014 come lo “Steven Spielberg dei videogiochi”: si tratta di Shigeru Miyamoto, giapponese di Kyoto, classe 1952. Fu lui il 10 marzo 1981 a creare uno dei personaggi più famosi del magico mondo dei videogames: Mario Bros. Oggi è il capo della Nintendo Entertainment Analysis & Development, la divisione dell’azienda che si occupa appunto della progettazione e dello sviluppo di nuovi videogiochi. Quel giorno la Nintendo prese la licenza di Braccio di Ferro e la trasformò in un videogame che avrebbe fatto epoca: Donkey Kong. Un gorilla enorme in cima all’impalcatura di un cantiere edile teneva ostaggio Pauline. La donzella era la fidanzata del terzo personaggio della vicenda. E il prode fidanzato era lui, il baffuto saltatore vestito da carpentiere. Doveva fare degli zompi notevoli per superare tutti gli ostacoli (botti di legno, fiamme, mostriciattoli inceneritori) che il gorilla gigante gli tirava per arrivare in cima all’impalcatura e liberare Pauline. Questa caratteristica atletica gli aveva conferito il nome di Jumpman.

Nel 1983 il carpentiere diventa idraulico e protagonista di un gioco tutto suo; la divisa è la stessa con salopette blu, capello rosso, guanti bianchi e maglietta rossa. Quando arriva negli Stati Uniti dal natìo Giappone si chiama Mister Video. Sarà Minoru Arakawa, fondatore della Nintendo negli USA, a chiamarlo Mario in onore dell’italo-americano Mario Segale, proprietario del primo stabilimento della Nintendo nel Paese a stelle e strisce. Nel frattempo a Mario si è aggiunto il fratello più piccolo Luigi, stessa divisa e stessi baffi ma con colori diversi per distinguerli sullo schermo: ed ecco la parola Bros, abbreviazione in slang americano di brothers, fratelli appunto. Il 13 settembre 1985 la svolta che rende l’idraulico con i baffi il corrispettivo di Topolino per i videogames invece che per i fumetti. Viene lanciato sul mercato giapponese Super Mario Bros per la piattaforma Nintendo. È il videogioco che segna l’irruzione nel mondo virtuale dei cosiddetti power-up, cioè oggetti che possono dare potenza al personaggio. Il fungo trasforma Mario in Super Mario, la stella lo rende invulnerabile ai nemici per alcuni secondi, il fiore di fuoco lo rende Super Mario Fire. Il canovaccio è quello classico delle storie di fantasia ambientate in un passato da ciclo bretone o carolingio, castelli, cavalieri, invasori malvagi e donzelle da salvare. Bowser, il terribile re dei Koopa, ha trasformato in mattoni alcuni dei pacifici abitanti del Regno dei Funghi, i Toad con la testa di fungo appunto, e ha rapito la principessa Peach, di cui è innamorato. In tutto il regno sciamano gli sgherri di Bowser, i Goomba, funghi andati a male, che sono gli altri abitanti del Regno che il cattivo Bowser non ha trasformato in mattoni. I Goomba sono i primi nemici che Super Mario Bros incontra sul suo cammino.

Un cammino lungo ben 8 mondi da 4 livelli ciascuno, i famosi 32 livelli, prima di arrivare al duello finale con Bowser per liberare la principessa Peach. Notte, giorno, terra, cielo, acqua, tubi e mondi sotterranei, bonus nascosti, monete da trovare in ogni dove, nemici travestiti da Bowser. E alla fine la sfida all’Ok Corral con il re dei Koopa che, se sconfitto, precipita nella lava. E tutti vissero felici e contenti, soprattutto il nostro Mario e la principessa Peach. Quel videogame ha venduto oltre 40 milioni di copie in tutto il mondo e Super Mario Bros è diventato l’icona della Nintendo e protagonista diretto o comprimario di 270 videogiochi. È stato un fenomeno di costume, emblema di un mondo che divora i suoi personaggi più in fretta di qualsiasi altro media di massa. Le musiche di Super Mario Bros, gli effetti sonori della potenza, sono diventate colonne sonore riconoscibili anche su internet, le ambientazioni sono diventati costumi di carnevale stranoti al grande pubblico, il baffuto idraulico ha ispirato il film del 1993 con Bob Hoskins nel ruolo di Super Mario e Dennis Hopper in quello del perfido Koopa. Nel 2015 fu il suo stesso creatore Shigeru Miyamoto ad affermare: “Volevo rendere Super Mario come il Topolino di Disney, utilizzandolo nel maggior numero di giochi da me creati. Avevo intenzione di renderlo unico anche dopo 10 o 20 anni, una vera e propria icona per i videogiochi ed è accaduto davvero, mi sento tremendamente fortunato”. E poi il merchandising, una wiki-enciclopedia dedicata esclusivamente al mondo “Bros”, prodotti alimentari, shampoo. L’allenatore di calcio Mario Basler quand’era calciatore di un forte Bayern Monaco della fine degli anni Novanta venne ribattezzato “super-Mario”. Stesso soprannome dato al Presidente del Consiglio Mario Draghi, soprattutto dopo il famoso “whatever it takes” pronunciato da banchiere centrale europeo a Londra il 26 luglio 2012 alla Global Investment Conference. Il tempismo e la capacità di rinnovarsi hanno fatto di Super Mario Bros un marchio da oltre 26 miliardi di dollari, preceduto solo da brand come “Guerre Stellari” e “Harry Potter”. In questo modo con l’idraulico hanno giocato e sognato generazioni di ragazzi e di adulti dal 1985 ai giorni nostri (il gioco Super Mario 3D World + La furia di Bowser è uscito il 12 febbraio 2021). Se consideriamo la velocità con la quale un personaggio dei videogames diventa vecchio per il pubblico, quello di Super Mario è un caso più unico che raro. Il Giappone dei primi anni Settanta aveva portato a compimento il suo miracolo economico. Da Paese sconfitto della Seconda Guerra Mondiale a potenza economica del globo. I giapponesi avevano conquistato posizioni dominanti nel settore dell’elettronica: Panasonic, Sony, Nec, Fujitsu, Mitsubishi. Leggere su un videoregistratore, su un televisore, su una videocassetta o su un qualsiasi marchingegno elettronico “made in Japan” era garanzia di qualità per il consumatore. Inondando i mercati occidentali fino alla fine degli anni Ottanta, il Giappone aveva conquistato l’immaginario collettivo del futuro, di un futuro reso più comodo e bello dalla tecnologia di massa. Poi c’era un altro Giappone meno visibile ma che avrebbe segnato generazioni di ragazzi in USA e in Europa: il “cool Japan” dei fumetti, i popolarissimi manga, e dei videogiochi. E con questo mercato i giapponesi conquistarono un altro immaginario, quello di giovani e giovanissimi occidentali. Intanto i manga diventarono “anime” (dall’inglese animation) e sono i cartoni animati che ci hanno tenuto compagnia da sempre: Mazinga Z, Jeeg Robot, Goldrake, Lupin III, Candy Candy, Lady Oscar, Georgie, Kiss me Licia, Dragon Ball, Sailor Moon, tanto per citarne alcuni. Un’industria dell’intrattenimento che aveva compreso di essere entrata nell’intimità e nei processi educativi di milioni di famiglie. Nel frattempo, sull’onda delle ricerche militari in campo tecnologico e degli studi di alcune eccellenze universitarie come il Massachusetts Institute of Technology, gli Stati Uniti avevano visto il primo videogioco di massa pensato per il grande pubblico. “Pong”, così si chiamava, era uscito il 29 novembre 1972, portando in molte case il brivido della sfida. Gli USA sembravano diventare la potenza egemone di questa nuova realtà con Asteroids nel 1979.

Ma il Giappone non era rimasto a guardare, e già nel giugno 1978 era arrivato direttamente dal cosmo profondo “Space Invaders”, che trasformò milioni di camerette in sale giochi e anticipò inconsapevolmente le “guerre stellari” lanciate dal presidente USA Ronald Reagan il 23 marzo 1983. Sempre i nipponici scrissero una pietra miliare della storia dei videogames il 22 maggio 1980 con Pac-Man, la sfera gialla che mangia i puntini in un labirinto popolato da fantasmi suoi nemici mortali. Un successo mondiale di costume oltre che commerciale. Poi nel 1981 Mario Bros avrebbe cambiato tutto. Perché non raccontava di sfide sportive né di guerre spaziali, ma di un mondo reale (il cantiere edile di Donkey Kong) e di una persona comune (il carpentiere) in un canovaccio fiabesco (la donzella da salvare dal mostro cattivo) che richiamava un fumetto famosissimo già dagli anni Trenta (Popeye). Fu questa la base di un successo unico, su cui la giapponese Nintendo costruì evoluzioni che fecero crescere il personaggio assieme ai suoi primi fan, cementando l’identificazione tra comunità e super-eroe “normale” e contemporaneamente pubblicando altre facce di Super Mario per fidelizzare i giocatori più giovani (basti pensare al successo della Wii, la console per videogiochi sensibile ai movimenti del corpo). Lunga vita a te, caro Super Mario, intramontabile idraulico nostro vicino di casa.

Perché tra mondi sotterranei pericolosi, piante carnivore, nemici travestiti, monete da recuperare un po’ ovunque, ci ricordi tanto il percorso a ostacoli della nostra vita di tutti i giorni. Perché in ognuno di noi c’è un Super Mario che scalpita per passare al livello successivo…

Commenti