Il dado è tratto. Quella di ieri non è stata una preghiera, è stato un rito, una liturgia per consacrare la grande scissione della Repubblica Islamica, per sancire linizio della vera guerra tra gli eserciti di Alì Akbar Rafsanjani e Mir Houssein Moussavi da una parte e Alì Khamenei e Mahmoud Ahmadinejad dallaltra. Quei due eserciti fino ad oggi defilati, travisati, mimetizzati ora sono pronti a darsi battaglia, persino a metter in gioco il futuro della Rivoluzione Islamica. Per capirlo basta ascoltare i miliziani di regime gridare «morte ai nemici della Rivoluzione Islamica», «morte allAmerica» e dallaltro quei «morte alla Cina e alla Russia», «morte al dittatore» ululati dallonda verde.
Il campo di battaglia sono ancora una volta i viali dellUniversità di Teheran, quella dove ogni venerdì gli ayatollah di regime recitano sermone e preghiera, quella dove gli studenti protestano e le milizie di regime inseguono e massacrano gli oppositori. Lì parlò subito dopo le presidenziali la suprema Guida Alì Khamenei, circondato da pasdaran e basiji per imporre la grande truffa di regime. Lì, tre settimane dopo, non esiste più neppure il rispetto per le autorità religiose. Lì viene circondato e colpito al turbante da agenti in borghese layatollah Mehdi Karroubi, il candidato riformista ed ex presidente del Parlamento defraudato dei suoi voti. Lì sale sul palco Rafsanjani, ricompare in pubblico dopo oltre un mese la sua creatura Moussavi, si raccolgono a migliaia gli oppositori dell«onda verde». Un attimo dopo il verbo di Rafsanjani disegna il grande scisma. «Oggi è un giorno amaro. Quando il popolo non è rappresentato e quando i suoi voti non esistono più un governo non può considerarsi islamico». In quelle frasi, pronunciate mentre la folla verde grida «azadi, azadi» - «libertà, libertà» - e la polizia spara i primi lacrimogeni, fa capolino lultimatum a presidente e Suprema Guida. A pronunciarlo ci pensa lex presidente oggi capo dellassemblea degli Esperti e del Consiglio del discernimento. Al primo dei due organi costituzionali spetta la nomina, ma anche la rimozione della Suprema Guida, al secondo la risoluzione di tutte le contese istituzionali. Rafsanjani con quelle parole minaccia la doppia delegittimazione della Suprema Guida Khamenei e del suo presidente Ahmadinejad. E quando aggiunge di aver discusso una «soluzione alla crisi» allinterno dei due istituti tutti gli attribuiscono una scala reale o quantomeno una solida maggioranza, capace di far tremare i vertici del potere. Certo ci sono anche i jolly e re di picche, si chiamano esercito, basiji e pasdaran.
Nessuno, manco Rafsanjani può dire come la frattura al vertice si ramificherà tra i gangli del potere armato, ma lultimatum cè. «Si sono creati seri dubbi sui risultati elettorali e la maggior parte delle persone più sagge del Paese li condivide, dobbiamo muoverci il prima possibile per rimuoverli», avvisa Rafsanjani che non esita a chiedere limmediata liberazione degli oppositori e maggior libertà despressione. «A che serve tenere tanta gente in prigione? Dobbiamo restituirli alle loro famiglie. A che serve tener sotto pressione la stampa? Dobbiamo permettere loro di lavorare liberamente in base alla legge». Mentre Rafsanjani santifica la divisione, i lacrimogeni invadono lo spiazzo della preghiera e fuori dai cancelli i basiji tornano ad attaccare la folla, ad arrestare chiunque indossi qualcosa di verde.
Ma stavolta forza bruta, bastoni e armi da soli non bastano. Miliziani e polizia di regime sono una falange di moto, bastoni e manganelli serrata intorno alluniversità. I verdi sono una marea di centinaia di migliaia di persone capace di riempire un'area di tre chilometri attorno all'ateneo. In quella fiumana gli agenti in borghese intercettano Shadi Shadr, unavvocatessa conosciuta come una delle più note attiviste per i diritti delle donne, la fermano e la portano via.
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