Roma - Pugno di ferro in guanto di velluto. E forse nemmeno pugno di ferro: visto come prosegue il negoziato per la cordata italiana a cui Berlusconi conferma l’interesse, con quota minoritaria; presenza sulla quale Corrado Passera, numero uno di Intesa-San Paolo non ci vede nulla di male. È questa la filosofia che guida l’emendamento di Paolo Gentiloni che prevede la separazione della rete da Telecom (il termine «scorporo» è uscito dal vocabolario del governo). L’emendamento, scritto dal ministro delle Comunicazioni, è stato trasmesso al ministro per i Rapporti con il Parlamento, Vannino Chiti, che lo presenterà al disegno di legge Bersani sulle liberalizzazioni.
L’emendamento modifica l’art. 45 del Codice delle comunicazioni e aumenta i poteri dell’Authority delle Comunicazioni in caso di separazione della rete da Telecom. Li aumenta al punto che l’Agcom può imporre la separazione funzionale della rete (ma non quella societaria), qualora il negoziato in corso fra Authority e Telecom non raggiungesse un risultato condiviso.
La separazione seguirà «un preciso iter procedimentale» in linea con la normativa europea. Con l’obbiettivo di raggiungere una soluzione vicina al «modello inglese». Soluzione condivisa anche da Tronchetti Provera. Vale a dire separazione funzionale della rete. Con un’aggiunta. Fra i nuovi poteri attribuiti all’Agcom c’è anche la definizione del perimetro delle attività Telecom oggetto della separazione. Quindi, non soltanto l’«ultimo miglio», ma anche tutto il software che compone la rete «ivi incluse le componenti necessarie alla fornitura di servizi a banda larga». E questo al fine di garantire - è scritto nell’emendamento - «la piena garanzia della parità di trattamento esterna ed interna per tutti gli operatori che chiedono accesso» alla rete.
La componente «guanto di velluto» dell’emendamento è rappresentato da due elementi. Il primo: è da settembre che Telecom dialoga con l’Authority delle Comunicazioni per raggiungere un’intesa sulla separazione funzionale della rete, e non societaria. Tant’è che all’interno del governo (a eccezione di Di Pietro) nessuno parla più di scorporo o societarizzazione della rete, come prevedeva invece il Piano Rovati.
Il secondo: la scelta del veicolo legislativo scelto. Introdurre queste modifiche al Codice delle comunicazioni con un emendamento ad un disegno di legge che non ha ancora avviato l’iter parlamentare (è stato appena calendarizzato in commissione Attività produttive della Camera), anziché con un decreto, mostra la disponibilità del governo a discutere modifiche allo stesso emendamento. Ma soprattutto è lì a dimostrare che l’Agcom potrà esercitare questi maggiori poteri soltanto ad approvazione definitiva del disegno di legge Bersani sulle liberalizzazioni (la cosiddetta lenzuolata). Approvazione che difficilmente potrebbe arrivare entro la fine dell’anno, come chiesto dal presidente dell’Authority.
Insomma, la mossa del governo ha una lettura double face: pugno di ferro, quando definisce i nuovi poteri dell’Agcom fino alla separazione della rete. Guanto di velluto quando sceglie tempi lunghi per la definizione pratica di questi nuovi poteri. In altre parole, sembra dar spazio (con atti concreti) alla trattativa in corso per una cordata italiana per Telecom. Alla quale Berlusconi conferma il suo interesse «patriottico, senza nessuna pretesa di comandare in nessun modo dentro la società».
Soluzione nella quale Corrado Passera, amministratore delegato del gruppo Intesa San Paolo, «non vede nulla di male». E aggiunge: «Se dovessero esserci raggruppamenti di aziende italiane o investitori istituzionali con un’ottica finanziaria e con un azionariato stabile, perché no anche una quota Fininvest?».
Chi resta contrario, invece, all’ingresso di aziende del gruppo Berlusconi in Telecom è Antonio Di Pietro: «Ci vuole una preventiva autorizzazione da parte dell’autorità o del governo previa la verifica delle condizioni soggettive e oggettive dell’acquirente». E critica l’emendamento Gentiloni: non è sufficiente.
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