Cultura e Spettacoli

TELEDIARIO Exodus, più emozione che evocazione

La giornata della memoria, cui la televisione ha appena reso il dovuto omaggio con una serie di documentari, fiction e film (bella soprattutto l'iniziativa di Rete 4 di trasmettere Schindler's List senza pubblicità) rischia peraltro di diventare quello che l'8 marzo è per le donne: un momento di chiamata collettiva, sostanzialmente coatta, verso una full immersion di buoni propositi, di riflessioni e ammonimenti che poi, come al fischio dell'arbitro in uno stadio dopo il minuto di raccoglimento in ricordo di qualcuno che non c'è più, danno il via a un boato liberatorio fatto di urla e schiamazzi e più in geneale al ripristino del consueto tran tran quotidiano di smemoratezze assortite. Si esce sempre un po' storditi da questo concentrato di ricordi cui veniamo chiamati a scadenza fissa, né la televisione ci aiuta molto a capire, con il conforto di qualche mente illuminata, quale sia il giusto confine tra il dovere etico della memoria (che dovrebbe naturalmente comprendere tutti i popoli vessati e perseguitati) e quella non meno importante profilassi mentale che consiglierebbe di fare pulizia delle tante scorie prodotte dalla memoria: rivalsa, vendetta, attaccamento al passato e al suo peso opprimente. A chiudere il ciclo delle tante ore dedicate alla giornata della memoria è arrivata Exodus, il sogno di Ada (domenica e lunedì su Raiuno, ore 21,10) fiction liberamente tratta (con qualche inevitabile strascico polemico di alcuni parenti non interpellati per la stesura della sceneggiatura) dal libro di Ada Sereni I clandestini del mare. Vi si racconta la storia esemplare di una donna determinata e coraggiosa, che dal 1945 al 1947 organizza il viaggio in Palestina di migliaia di ebrei sottratti allo sterminio nazista. Tra le vittime del massacro c'è invece proprio il marito di Ada, Enzo, che muore nel campo di concentramento di Dachau dopo essere stato da lei inutilmente cercato lungo un penoso e drammatico girovagare. In questa fiction si riscontrano molti tratti comuni al modo abituale con cui si sceglie di dare corpo, in chiave sceneggiata, alla narrazione dei temi propri della giornata della memoria. Si punta molto sull'enfasi recitativa (particolarmente imponente quando viene chiamata un'attrice dal timbro emotivo forte quale è Monica Guerritore) e su un'atmosfera lugubremente monocorde che viene resa ancora più grondante del dovuto, come se la regia avesse paura di non sembrare sufficientemente compartecipe dei drammi raccontati. In realtà avremmo forse bisogno, più che di uno snodo così convenzionale e tetramente prevedibile, di qualche immagine che si fissi nella nostra memoria non per il suo carattere di scena madre, ma per la sua forza stilistica, per il suo potere evocativo più che emotivamente didascalico.

Anche in una fiction, molto spesso, il dovere della memoria trascina con sé qualche scoria non smaltita.

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