La tendenza Big da prima serata in via d’estinzione

L’ideologo della marginalità televisiva è certamente Renzo Arbore. Anche se, per uno così autoironico e goliarda come il re di Quelli della notte, tirare in ballo l’ideologia è davvero troppo. Fu infatti una goliardata anche quella di qualche anno fa, era il 2005, chiamare l’ultimo suo programma Speciale per me - Meno siamo meglio stiamo con tanto di sigla-manifesto: «Meno siamo e meglio stiamo / e ne siamo fieri / che bisogno c’è di stare tanti / come in tv». Un elegante sberleffo, come scegliere di andare in onda a notte fonda. Di sabato, e facendo, lo stesso, grandi ascolti. Un capolavoro, una goliardata snob. Senza dogmatismi antipopulisti.
E però, da lì, è partito il movimento centrifugo dei big: fuga dalla prima serata, a caccia delle nicchie dei palinsesti, dei pochi ma buoni delle piattaforme trendy. Fiorello in radio e solo lì per tre anni, prima di sbarcare su SkyUno; Panariello in teatro, scottato dall’overdose di sabati sere e lotterie poco vincenti; Chiambretti su La7 e ora nella night di Italia Uno; Celentano a sperimentare il linguaggio dell’animazione, per giunta via satellite. Fiorello, Celentano, Panariello, Chiambretti: tutti leader da prima serata, tutti big popolari, campioni da tv generalista, uomini Rai, personaggi sopra il muro dei 10 milioni di telespettatori. Invece no, meglio la nicchia, la tv confidenziale, marginale.
Del resto, bisogna capirli. Ogni vigliacca mattina, davanti ai numeri dell’Auditel si consuma una sorta di giudizio universale, di pollice su pollice giù, di scrutinio ultimativo. E tutta questa ansia quotidiana per che cosa, per chi? Per un pubblico progressivamente più «basso», come dicono gli esperti, più pop, meno qualificato. Quello che rimane nella vecchia tv generalista, soprattutto nella vecchia Rai ben posizionata nel centrosud del Paese, dopo l’avvento delle nuove piattaforme che attraggono le élite più colte, più critiche, più facoltose. Ecco spiegata la diaspora dei big. E anche la ricerca della Rai di nuovi campioni da lanciare in prima linea, pardon, serata.
È spuntata la Clerici che, però, di recente si è scottata. Un paio d’anni fa ci provò Simona Ventura, a saltare da Raidue sull’ammiraglia. Ma non funzionò. E comunque, qui restiamo dalle parti del «bravo presentatore», non dei big sbanca-auditel. Pace all’anima sua, non funzionò nemmeno con Gianfranco Funari e il suo Apocalypse show, ambizioso tentativo di spettacolo alla Celentano, senza Celentano. Così, la ricerca prosegue e, per la stagione in corso, ci si affida a Morandi e al suo one man show targato Ballandi. Per il resto, rimangono Milly Carlucci e Carlo Conti, ottimi professionisti, ma non esattamente dei leader del populismo catodico.

E dunque?
Dunque, gli ultimi due rimasti, che non hanno paura di metterci la faccia e rischiare, né di accontentare la signora della porta accanto senza trasformarsi in teletribuni, stanno di casa a Mediaset, che se li tiene ben stretti. Si chiamano Paolo Bonolis e Maria De Filippi. Ovvero: il format sono le persone.

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